Con il 23 per cento di votanti anche questi ultimi tre referendum abrogativi non hanno raggiunto il quorum e il numero complessivo dei quesiti falliti negli ultimi quindici anni è salito a 24. Dei 62 referendum abrogativi sinora indetti sette riguardavano i sistemi elettorali e di questi solo due hanno raggiunto il quorum. Erano i primi anni ’90 e il sistema di governo fondato sul pentapartito era entrato in crisi, crisi culminata con l’arresto di Mario Chiesa e l’avvio dell’inchiesta di Tangentopoli. Il vento dell’antipolitica, o meglio dell’antipartitocrazia, fu all’epoca cavalcato dal democristiano Mario Segni, figlio dell’ex presidente della Repubblica Antonio Segni, e diede il via al sistema bipolare inaugurato con le politiche del ’94.
Dall’87 per cento di votanti avuto nel 1974 in occasione del primo referendum (quello sul divorzio) si è passati al 58 per cento del 1995, anno in cui Silvio Berlusconi si espose in prima persona in occasione del referendum che proponeva alcune modifiche del sistema radiotelevisivo italiano. Dal 1997 ad oggi, invece, la media dei partecipanti al voto è stata mediamente del 30 per cento sino a scendere al 25 per cento nel 2004, quando si è votato sulla procreazione assistita. In quest’ultimo caso l’astensione fu sostenuta persino dalla Cei e dalla Chiesa come strumento per non far passare il quesito. Il 23 per cento di quest’ultima tornata referendaria segna un nuovo record negativo. L’unico anno in cui si è sfiorato il 50 per cento è stato il 1999, quando Mario Segni, insieme a Gianfranco Fini, indisse un referendum per l’abolizione della quota proporzionale del 25 per cento previsto alla Camera dal cosiddetto Mattarellum. In quella occasione il leader di Alleanza nazionale, da sempre favorevole alla creazione di un sistema bipolare e bipartitico, imputò il mancato raggiungimento del quorum a Silvio Berlusconi, che si era spostato verso una linea più proporzionalista. È del 2005, infine, l’attuale legge elettorale, chiamata “porcellum” dal suo stesso relatore, il ministro Roberto Calderoli, che Segni e Guzzetta con i loro referendum volevano modificare.
Tale legge prevede un sistema proporzionale puro ma con differenti premi di maggioranza alla Camera e al Senato per la coalizione vincente. Se fossero passati questi referendum il premio di maggioranza sarebbe andato alla singola lista più votata anziché alla coalizione come prevede la legge in vigore. Il risultato odierno era praticamente scontato dato anche il forte astensionismo del primo turno di queste elezioni estive. I tecnicismi tipici dei referendum elettorali hanno appassionato davvero poco gli elettori che, spinti anche dalla maggior parte dei partiti ad andare al mare oppure a votare solo per le amministrative come ordinato dalla Lega, hanno disertato le urne. Ben poco ha potuto lo sforzo del Partito democratico a favore del sì perché qualsiasi referendum, dal 1995 ad oggi, è destinato a fallire senza l’intervento, diretto o indiretto, del premier e del suo partito, il Pdl che resta sempre il primo partito. (spk)
Dall’87 per cento di votanti avuto nel 1974 in occasione del primo referendum (quello sul divorzio) si è passati al 58 per cento del 1995, anno in cui Silvio Berlusconi si espose in prima persona in occasione del referendum che proponeva alcune modifiche del sistema radiotelevisivo italiano. Dal 1997 ad oggi, invece, la media dei partecipanti al voto è stata mediamente del 30 per cento sino a scendere al 25 per cento nel 2004, quando si è votato sulla procreazione assistita. In quest’ultimo caso l’astensione fu sostenuta persino dalla Cei e dalla Chiesa come strumento per non far passare il quesito. Il 23 per cento di quest’ultima tornata referendaria segna un nuovo record negativo. L’unico anno in cui si è sfiorato il 50 per cento è stato il 1999, quando Mario Segni, insieme a Gianfranco Fini, indisse un referendum per l’abolizione della quota proporzionale del 25 per cento previsto alla Camera dal cosiddetto Mattarellum. In quella occasione il leader di Alleanza nazionale, da sempre favorevole alla creazione di un sistema bipolare e bipartitico, imputò il mancato raggiungimento del quorum a Silvio Berlusconi, che si era spostato verso una linea più proporzionalista. È del 2005, infine, l’attuale legge elettorale, chiamata “porcellum” dal suo stesso relatore, il ministro Roberto Calderoli, che Segni e Guzzetta con i loro referendum volevano modificare.
Tale legge prevede un sistema proporzionale puro ma con differenti premi di maggioranza alla Camera e al Senato per la coalizione vincente. Se fossero passati questi referendum il premio di maggioranza sarebbe andato alla singola lista più votata anziché alla coalizione come prevede la legge in vigore. Il risultato odierno era praticamente scontato dato anche il forte astensionismo del primo turno di queste elezioni estive. I tecnicismi tipici dei referendum elettorali hanno appassionato davvero poco gli elettori che, spinti anche dalla maggior parte dei partiti ad andare al mare oppure a votare solo per le amministrative come ordinato dalla Lega, hanno disertato le urne. Ben poco ha potuto lo sforzo del Partito democratico a favore del sì perché qualsiasi referendum, dal 1995 ad oggi, è destinato a fallire senza l’intervento, diretto o indiretto, del premier e del suo partito, il Pdl che resta sempre il primo partito. (spk)
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