sabato 12 febbraio 2011

Renzi, Arcore e la caccia alle streghe

di Francesco Curridori
curridori@ragionpolitica.it
  
mercoledì 08 dicembre 2010

Silvio Berlusconi come il diavolo. Arcore come l'inferno. Matteo Renzi... come Pierino. Ancora una volta il sindaco di Firenze ha fatto indispettire il suo segretario di partito. «Non è vietato per un sindaco incontrare il presidente del Consiglio, ma esistono delle sedi, sennò si può capire male. A mio gusto sarebbe stato meglio Palazzo Chigi», è sbottato Pier Luigi Bersani, visibilmente innervosito dalla notizia dell'incontro che Matteo Renzi ha avuto lunedì col premier nella sua villa di Arcore. A seguire, una serie di commenti critici verso il «rottamatore» del Partito Democratico.
A disturbare i dirigenti nazionali apparentemente è l'ubicazione del faccia a faccia. La realtà è che a sinistra dà fastidio qualsiasi incontro ravvicinato o qualsiasi forma di dialogo col presidente del Consiglio. È successo anche in passato con Walter Veltroni, che è stato silurato pochi mesi dopo le elezioni. La sua grave colpa è stata quella di aver cercato di batter l'attuale premier senza sfruttare l'arma dell'antiberlusconismo. Ottenne il 34%, mentre ora il Pd è accreditato al 24.
Non si tratta solo di una questione numerica, ma di un problema di metodo. A sinistra non si riesce ad andare oltre la contrapposizione ideologica «Berlusconi sì, Berlusconi no». Ciò non significa che il metodo Veltroni o Renzi sia quello vincente o quello giusto, anche perché entrambi hanno fatto o faranno degli errori. L'ex sindaco di Roma a parole ha cercato un'intesa con Berlusconi, ma in concreto si è fatto travolgere dallo tsunami dipietrista forse perché per la sinistra è impossibile vincere senza giocare la carta dell'antiberlusconismo. Sia Veltroni sia Renzi, inoltre, hanno commesso l'errore di aver provato a mettere degli argini al Partito Democratico. Il primo pose dei limiti nelle alleanze a sinistra, il secondo invece ha avuto il coraggio di dire basta con la vecchia nomenklatura comunista rappresentata proprio dai due dinosauri della sinistra: Massimo D'Alema e Walter Veltroni. Proprio questi storici arci-nemici, meno di una settimana fa, sono stati accusati di voler dar vita ad un asse tutto interno al partito con lo scopo di far fuori Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola, il più accreditato a guidare la futura coalizione di centrosinistra.
Ad avvelenare ulteriormente il clima nel partito è stata, in questa settimana, la proposta del senatore dalemiano Nicola Latorre secondo cui il Pd andrebbe rifondato e aperto anche a Vendola. Un ragionamento che suona come il vecchio detto: «Se non puoi batterli, unisciti a loro». In questo caso non si tratterebbe di una fusione tra due partiti, ma la cooptazione del più piccolo partito dentro il più grande. Ipotesi, questa, che ha diviso nuovamente il partito e mandato su tutte le furie gli ex Popolari, tanto che Franco Marini ha subito ammonito gli ex Ds: «Sento parlare di "rifondare il Pd", imbarcando Vendola. E' il tuffo in un passato remoto, uno sbandamento. Se qualcuno coltiva davvero questa idea, la declassi a nostalgia del Pci, altrimenti offre un segnale di fine dell'esperienza dei Democratici». Se a destra i finiani e i berlusconiani hanno preso due strade diverse, popolari e post-comunisti vivono da separati in casa e chi, come Matteo Renzi, cerca di modificare l'attuale status quo, viene subito preso di mira.

Nessun commento:

Posta un commento