di Francesco Curridori |
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mercoledì 08 dicembre 2010 | |
Silvio Berlusconi come il diavolo. Arcore come l'inferno. Matteo Renzi... come Pierino. Ancora una volta il sindaco di Firenze ha fatto indispettire il suo segretario di partito. «Non è vietato per un sindaco incontrare il presidente del Consiglio, ma esistono delle sedi, sennò si può capire male. A mio gusto sarebbe stato meglio Palazzo Chigi», è sbottato Pier Luigi Bersani, visibilmente innervosito dalla notizia dell'incontro che Matteo Renzi ha avuto lunedì col premier nella sua villa di Arcore. A seguire, una serie di commenti critici verso il «rottamatore» del Partito Democratico. A disturbare i dirigenti nazionali apparentemente è l'ubicazione del faccia a faccia. La realtà è che a sinistra dà fastidio qualsiasi incontro ravvicinato o qualsiasi forma di dialogo col presidente del Consiglio. È successo anche in passato con Walter Veltroni, che è stato silurato pochi mesi dopo le elezioni. La sua grave colpa è stata quella di aver cercato di batter l'attuale premier senza sfruttare l'arma dell'antiberlusconismo. Ottenne il 34%, mentre ora il Pd è accreditato al 24. Non si tratta solo di una questione numerica, ma di un problema di metodo. A sinistra non si riesce ad andare oltre la contrapposizione ideologica «Berlusconi sì, Berlusconi no». Ciò non significa che il metodo Veltroni o Renzi sia quello vincente o quello giusto, anche perché entrambi hanno fatto o faranno degli errori. L'ex sindaco di Roma a parole ha cercato un'intesa con Berlusconi, ma in concreto si è fatto travolgere dallo tsunami dipietrista forse perché per la sinistra è impossibile vincere senza giocare la carta dell'antiberlusconismo. Sia Veltroni sia Renzi, inoltre, hanno commesso l'errore di aver provato a mettere degli argini al Partito Democratico. Il primo pose dei limiti nelle alleanze a sinistra, il secondo invece ha avuto il coraggio di dire basta con la vecchia nomenklatura comunista rappresentata proprio dai due dinosauri della sinistra: Massimo D'Alema e Walter Veltroni. Proprio questi storici arci-nemici, meno di una settimana fa, sono stati accusati di voler dar vita ad un asse tutto interno al partito con lo scopo di far fuori Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola, il più accreditato a guidare la futura coalizione di centrosinistra. Ad avvelenare ulteriormente il clima nel partito è stata, in questa settimana, la proposta del senatore dalemiano Nicola Latorre secondo cui il Pd andrebbe rifondato e aperto anche a Vendola. Un ragionamento che suona come il vecchio detto: «Se non puoi batterli, unisciti a loro». In questo caso non si tratterebbe di una fusione tra due partiti, ma la cooptazione del più piccolo partito dentro il più grande. Ipotesi, questa, che ha diviso nuovamente il partito e mandato su tutte le furie gli ex Popolari, tanto che Franco Marini ha subito ammonito gli ex Ds: «Sento parlare di "rifondare il Pd", imbarcando Vendola. E' il tuffo in un passato remoto, uno sbandamento. Se qualcuno coltiva davvero questa idea, la declassi a nostalgia del Pci, altrimenti offre un segnale di fine dell'esperienza dei Democratici». Se a destra i finiani e i berlusconiani hanno preso due strade diverse, popolari e post-comunisti vivono da separati in casa e chi, come Matteo Renzi, cerca di modificare l'attuale status quo, viene subito preso di mira. |
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