sabato 26 febbraio 2011

POL - Terzo polo, Ceccanti: Molti rientri quando centrodestra muterà leader Quanti hanno lasciato Pd non hanno avanzato proposta in positivo, Api soluzione non brillante. Non vi saranno altre fuoriuscite in Senato

Roma, 25 feb (Il Velino) - “Nella seconda parte della legislatura ci sarà una trattativa per far sì che Berlusconi non sia più il leader e molti dalle file del Terzo polo ritorneranno col centrodestra”. Questa la previsione che Stefano Ceccanti, senatore veltroniano del Pd, consegna al VELINO. Secondo Ceccanti non vi saranno altre fuoriuscite in Senato. Inoltre, “quanti se ne sono andati non hanno avanzato una proposta in positivo. Non credo che l'Api sia una soluzione brillante”. Eppure, secondo alcuni indiscrezioni il ritardo nella nascita del coordinamento del Terzo polo sarebbe legato a nuovi passaggi dal Pd all'Api. Le elezioni paiono più alle porte e perciò, anche per favorire il radicamento dei tre partiti, si preferisce aspettare tanto più che, in ogni caso, la fusione dei tre gruppi parlamentari (Udc, Api e Fli) non preluderebbe alla nascita di un partito unico. Una forza come l'Api, proveniente dal centrosinistra, in questa fase – sostengono i rutelliani – è più attrattiva per chi arriva dal Pd solo se postpone il progetto del gruppo unico.
Per quanto riguarda la polemica relativa alle Amministrative di Torino, Ceccanti conferma l'appoggio a Piero Fassino ed esclude che in caso di vittoria di Davide Gariglio il Pd nazionale possa annullare le primarie: “Fassino è il miglior candidato per Torino e – conclude Ceccanti - quando si tratta di cariche istituzionali come la poltrona a sindaco di Torino non ci sono veltroniani, franceschiniani o bersaniani.

giovedì 24 febbraio 2011

POL - Pd, Sarubbi:Esodo cattolici? No, c'è chi lascia perché è a 3° mandato

Roma, 24 feb (Il Velino) - “Non si può parlare di esodo. Non credo che esista un problema per i cattolici nel Pd. Alla Camera i cattolici che se ne sono andati sono stati otto. Tre sono passati con Rutelli e cinque con Casini. Bisogna infatti distinguere tra i cattolici e i liberal che, non condividendo la scelta di un Pd alleato con Vendola, si sono spostati verso i gruppi di centro”. Andrea Sarubbi, deputato veltroniano e cattolico del Pd, interpellato dal VELINO, non palesa dubbi sulla tenuta della componente cattolica del Pd.“È facile cambiare gruppo quando si è alla terza legislatura – è la puntura di Sarubbi - perché, se hai già fatto tre legislature, è difficile essere ricandidati perciò conviene andarsene. I cattolici che dal Pd sono passati con l’Api di Rutelli si sono trovati in un partito più centrista che cattolico. Un partito il cui vicepresidente è l’ex socialista Nencini che non si iscrisse al Pd perché lo vedeva troppo cattolico”. “Oltre all’Api – prosegue il deputato cattolico - c’è il movimento di Cacciari, che non mi risulta sia un cattolico, e che mette insieme i liberali delusi dal Pd. Insomma, al centro, ad esclusione dell’Udc, non c’è un partito che voti compatto sui temi etici. Se poi guardiamo all’Udc ci sono tante differenze anche tra Adornato e Binetti, così come pure dentro il Pdl Bondi e Capezzone hanno chiesto di non approvare una legge talebana”.

“È normale - dice ancora Sarubbi - che in un partito vi siano differenze sui temi etici. Io – spiega il deputato Pd - mi trovo più in difficoltà quando il Pd si divide sui temi del lavoro: se appoggiare o meno il referendum di Marchionne. Lì vedo un ritorno al veterocomunismo, ma come cattolico io sono stato valorizzato dal mio partito. Basta pensare al lavoro che ho svolto per la legge sulla cittadinanza. Sui temi dell’immigrazione il Pd è vicino alle posizioni della Chiesa”. A giudizio di Sarubbi “si può discutere se il Pd debba essere un partito di centrosinistra o un partito di sinistra che guarda al centro, ma non credo esista un problema dei cattolici dentro il Pd”. E sul testamento biologico, Sarubbi è fiducioso: “In commissione il Pd ha svolto un buon lavoro e ha prodotto degli emendamenti con una certa pietas cristiana, cercando di tener conto le posizioni sia della Binetti sia della Coscioni. Ora però si rischia che il voto diventi più politico che sul merito della questione”.
 
(spk) 24 feb 2011 19:32

POL - Fli, Conte: Dialogo con i Pdl ma non rientro. Altri verranno con noi Sardelli (Ir) rilancia: Sono in corso trattative non solo con i soliti noti

 
Roma, 23 feb (Il Velino) - “La mia disponibilità al dialogo con esponenti del Pdl, con cui non ho interrotto il rapporto umano, non è una disponibilità al rientro”. Giorgio Conte, deputato di Fli, conferma al VELINO la sua permanenza nel gruppo finiano di Montecitorio, nonostante il suo nome venga spessa accostato a quelli dei prossimi fuoriusciti. Le ultime fuoriuscite, secondo Conte, sono “legate alle umane debolezze e alle legittime ambizioni. Mi riferisco ai vari sbocchi offerti: dalla ricandidatura a posti di governo o sottogoverno”. “Indubbiamente – precisa il deputato finiano – ci sono stati degli errori negli ultimi mesi. Il voto del 14 dicembre ha lasciato una traccia profonda, ma sono ottimista e credo che si ritroverà lo spirito della seconda metà dell'anno scorso. Già a Milano Fini, Urso e un ex come Viespoli hanno sottolineato la parola destra con una forza maggiore anche rispetto a Bastia Umbra”.

“In questo clima il fatto che 6 senatori su 10 abbiano deciso di rimanere con noi - assicura il deputato Fli - è una mezza vittoria. Ci sono persone valide che possono dare un contributo importante nel nostro cammino. Persone che credono nel nostro progetto politico e non puntano ai personalismi”, aggiunge Conte, riferendosi a Adolfo Urso e Andrea Ronchi. E poi rilancia: “Noi, inoltre, pensiamo di poter mettere in cantiere nuovi ingressi alla Camera”. Dal versante del gruppo di responsabilità nazionale giunge la stessa convinzione. Luciano Sardelli, capogruppo alla Camera, rivela al VELINO, che “sono in corso varie trattative non solo con i nomi che circolano in questi giorni sui giornali”.
 
(spk) 23 feb 2011 19:36

POL - Pd, Renzi silura Bersani-Bindi:Non credo saranno candidati a primarie Reintrodurre immunità? Meglio cambiare Carta per dimezzare parlamentari e loro stipendi

Roma, 22 feb (Il Velino) - “Non credo che per le primarie del Pd i candidati saranno Rosy Bindi e Pier Luigi Bersani”. Il “siluro” ai due papabili per la corsa a Palazzo Chigi dell’opposizione arriva dal “rottamatore” sindaco di Firenze Matteo Renzi, che ha parlato ai microfoni della trasmissione radiofonica “Un giorno da pecora”, difendendo il meccanismo delle primarie che invece il gruppo dirigente del Nazareno vorrebbe modificare: “Io sono per farle – ha detto Renzi - e vorrei farle per tutti i seggi del Parlamento, così non avremo più casi come quello di Scilipoti...”. Ma Renzi ha anche aggiunto di voler correre di nuovo per il capoluogo toscano: “Mi ricandiderò – ha detto - a sindaco di Firenze nel 2013. Io mi sono già candidato alle primarie per fare il sindaco, e le ho vinte”.

Interpellato sul rapporto dell’opposizione col premier Silvio Berlusconi, Renzio ha ribadito il proprio pensiero: “Spero che il presidente del Consiglio vada davanti ai giudici, poi spero che dimostri la sua innocenza, e poi spero che venga sconfitto alle elezioni. Il giorno in cui il Pd smetterà di parlare dalla mattina alla sera di Berlusconi, quel giorno il Pd vincerà le elezioni. C'è una parte del centrosinistra – ha aggiunto - che non campa senza di lui, gente che ha fatto la sua fortuna sull'antiberlusconismo”. E quando gli si chiede di fare un nome, Renzi replica secco: “Di Pietro”.

Quanto alle ipotesi sulla reintroduzione dell'immunità parlamentare, "più che modificare la Costituzione per reintrodurre l'immunità, la modificherei per dimezzare il numero dei parlamentari e anche quello che prendono", dice il sindaco al VELINO al termine della presentazione del suo libro “Fuori” a Roma.
(baz/spk) 22 feb 2011 20:22

POL - Immunità, Renzi: Meglio cambiare Carta per dimezzare parlamentari

Roma, 22 feb (Il Velino) - "Più che modificare la Costituzione per reintrodurre l'immunità, la modificherei per dimezzare il numero dei parlamentari e anche quello che prendono". Lo ha dichiarato al VELINO - in merito al disegno di legge bipartisan di revisione dell’articolo 68 della Carta che vede come primi firmatari i senatori Luigi Compagna (Pdl) e Franca Chiaromonte (Pd) - il sindaco di Firenze Matteo Renzi, al termine della presentazione del suo libro “Fuori” a Roma.
 
(spk) 22 feb 2011 20:30
 
 
 

POL - Senato: molti "cambi di casacca" anche tra i gruppi di Palazzo Madama Nuove defezioni in vista nel gruppo finiano

Roma, 21 feb (Il Velino) - Non solo a Montecitorio si sono registrati nei mesi scorsi “cambi di casacca”. Rispetto all’inizio della legislatura, diversi gruppi del Senato hanno cambiato la loro consistenza numerica. Anche se il tourbillon è stato di entità inferiore rispetto a quello di Montecitorio. Il Popolo della libertà nel 2008 partiva da 146 senatori e ora si ritrova con 10 senatori in meno (dopo il ritorno - non ancora formalizzato - dei finiani Francesco Pontone e Giuseppe Menardi che ha determinato lo sfaldamento del gruppo Fli a Palazzo Madama). Al momento i finiani a Palazzo Madama sono di fatto otto - numero non sufficiente per formare un gruppo a sé. Ma altre importanti defezioni sono annunciate nelle prossime ore. A lasciare il Pdl sono stati, oltre ai dieci finiani (poi divenuti otto), altri tre senatori: Enrico Musso (ora nel gruppo misto), Adriana Poli Bortone e Vincenzo Galioto che sono passati col gruppo Udc-Svp-Autonomie. In compenso Sebastiano Burgaretta Aparo, ex Mpa, è andato a rafforzare le file del Pdl. Il gruppo della Lega Nord non ha avuto alcun mutamento. Il Partito democratico ha avuto dieci defezioni: Achille Serra, Luciana Sbarbati, Dorina Bianchi sono passati col gruppo Udc-Svp-Autonomie. mentre Francesco Rutelli, dopo aver dato vita alla componente del gruppo misto Alleanza per l’Italia (Api), è stato seguito da Franco Bruno, Riccardo Milana, Emanuela Baio (appena staccatasi dai democrat) e Claudio Gustavino (il quale ora è nel gruppo che comprende l’Udc). Riccardo Villari si è iscritto al gruppo misto tout court, mentre Maurizio Fistarol ha aderito al movimento Verso Nord di Massimo Cacciari, collocandosi sotto tali insegne nel misto. L’Italia dei Valori ha perso due senatori: Giuseppe Astore (misto) e Giacinto Russo (Api).

La storia dell’Unione di Centro, tra ingressi e uscite, è stata più articolata. Nel 2008 l’Udc superò la fatidica soglia dell’8 per cento solo in Sicilia e furono eletti solo in tre. Si trattava di Giuseppe D’Alia, Antonello Antinoro e Salvatore Cuffaro. Il primo è capogruppo di Udc-Svp-Autonomie, il secondo, invece, è stato sostituito da Salvatore Cintola, a sua volta sostituito da Burgaretta Aparo. Cuffaro si è dimesso dopo la sentenza di condanna per favoreggiamento nei confronti della mafia e al suo posto è subentrata Maria Pia Castiglione che ha aderito ai Popolari per l’Italia di domani e si è iscritta al gruppo misto In quota Udc sono nel gruppo con Svp e Autonomie Serra, Galioto, Gustavino e Bianchi. Ma su tale gruppo pende l’annuncio dei tre autonomisti sudtirolesi: i senatori Svp guidati da Helga Thaler hanno recentemente annunciato la loro fuoriuscita dal gruppo con Udc e Autonomie per dare vita a una componente autonoma.
 
(spk) 21 feb 2011 20:05

POL - Il volto nuovo della Camera dopo quasi tre anni di legislatura

Roma, 21 feb (Il Velino) - Nell’ultima settimana molti sono stati i “cambi di casacca” da un gruppo parlamentare a un altro e altri forse ve ne saranno nei prossimi giorni. Nell’attesa di nuovi sviluppi, attualmente la situazione alla Camera è questa. Il Pdl rispetto alle Politiche del 2008 ha perso più di 40 deputati. Oltre ai trenta deputati collocati in Futuro e Libertà (29 dopo il passaggio di Luca Barbareschi nel gruppo misto), ci sono Daniela Melchiorre e Italo Tanoni che hanno costituito la componente dei liberaldemocratici. Al gruppo di Iniziativa responsabile, sorto per sostenere il governo, hanno aderito i pidiellini Vincenzo D’Anna e Mario Pepe (anche Giancarlo Lehner ha annunciato la sua adesione) e gli ex finiani (sempre eletti con il Pdl) Silvano Moffa, Giampiero Catone, Maria Grazia Siliquini e Catia Polidori e ultimo in ordine di tempo Paolo Guzzanti. Il repubblicano Giorgio La Malfa, eletto nel Pdl, ha aderito al gruppo misto per intraprendere la strada terzopolista insieme a Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, mentre l’altro repubblicano, Francesco Nucara, è rimasto nell’alveo della maggioranza ma nel gruppo misto, cui si è da subito iscritto. Gabriella Mondello è passata con l’Udc. La Lega Nord in tre anni di legislatura ha perso soltanto Maurizio Grassano che, dopo un breve passaggio tra le fila dei liberaldemocratici, è andato a rinforzare le file dei “responsabili”.

L’Mpa del governatore siciliano Raffaele Lombardo ad inizio legislatura poteva contare su una componente del gruppo misto composta da otto deputati, poi divenuti quattro, visto che gli altri quattro hanno deciso di formare la componente Noi Sud che attualmente è una delle forze che costituiscono il gruppo di Iniziativa Responsabile. Più tormentata è la vicenda di Futuro e Libertà. Il gruppo, nato lo scorso 30 luglio, all’inizio ebbe 33 adesioni (per raggiungere qualche tempo dopo quota 37). Ma presto sono iniziate le defezioni e ora si ritrova di fatto con 29 deputati. La prima a lasciare il gruppo finiano è stata Souad Sbai, seguita da Giuseppe Angeli. Nel corso della voto di sfiducia al governo Berlusconi, il 14 dicembre scorso, Giampiero Catone, Catia Polidori, Maria Grazia Siliquini e Silvano Moffa non hanno seguito le indicazioni di voto di Fli e di lì a breve hanno promosso la costituzione del “gruppo di responsabilità”. Gli ultimi in ordine di tempo ad abbandonare Fli sono stati Roberto Rosso e Luca Bellotti che in questi giorni hanno deciso di rientrare nel Pdl e Luca Barbareschi che aderirà al gruppo misto. Tre defezioni non ancora comunicate ufficialmente all’assemblea di Montecitorio, dunque non ancora registrate sul sito web della Camera.

Sul versante dell’opposizione di centrosinistra il Partito democratico nel 2008 partiva da 217 deputati che divennero presto 218 con l’ingresso del dipietrista Jean Leonard Touadì, ma poi dodici si sono diretti verso “lidi terzopolisti”. Ben cinque sono passati con l’Udc e quattro con l’Api, mentre Massimo Calearo e Bruno Cesario, dopo il voto di fiducia del 14 dicembre, sono andati a comporre il gruppo dei responsabili. Antonio Gaglione, invece, non è attualmente iscritto a nessun gruppo ma ha fatto parte di Noi Sud prima che quest’ultima confluisse nel gruppo dei responsabili. L’Italia dei Valori dal 2008 ad oggi ha perso 7 deputati. Il primo a lasciare il partito di Antonio Di Pietro è stato Jean Leonard Touadì che ora si trova nel Pd, seguito a breve da Giuseppe Giulietti il quale però ha scelto il gruppo misto. Americo Porfidia, Domenico Scilipoti e Antonio Razzi sono passati col gruppo dei “responsabili”, mentre Aurelio Misiti, dopo un breve passaggio con l’Mpa di Lombardo, ha aderito al gruppo misto. Pino Pisicchio, invece, ha aderito all’Alleanza per l’Italia di Francesco Rutelli. L’Udc, nel conto finale tra entrate e uscite, come la Lega, perde solo un deputato e nell’arco di tre anni passa da 36 a 35 deputati. Le uscite più illustri sono state quelle di Mario Baccini, Bruno Tabacci, Francesco Pionati e il “gruppo dei siciliani” guidati da Francesco Saverio Romano, che - dopo avere dato vita ai Popolari per l’Italia di domani - sono finiti nel gruppo Iniziativa responsabile, a eccezione di Calogero Mannino (rimasto nel gruppo misto).
 
(spk) 21 feb 2011 19:57

sabato 12 febbraio 2011

Il fronte anti-Berlusconi è sempre più frammentato


di Francesco Curridori
curridori@ragionpolitica.it
  
mercoledì 09 febbraio 2011

Il centro-sinistra italiano è allo sbando. Non è un giudizio di valore ma un dato di fatto che scaturisce da due importanti quesiti. Il primo: quali e quante sono le opposizioni a Berlusconi? Secondo: quali e quante sono le opposizioni dell'opposizione a Berlusconi? Mi spiego meglio. Nel Pd, allo stato attuale delle cose, il leader è il segretario Pier Luigi Bersani. Il movimento democratico, la corrente guidata dall'ex segretario Walter Veltroni, è all'opposizione della maggioranza bersaniana. La corrente capitanata dal sindaco di Firenze Matteo Renzi vuole rottamare sia Bersani che Veltroni.
All'opposizione della vocazione maggioritaria riproposta recentemente da Veltroni, oltre a Bersani, ci sono naturalmente tutti i partitini di sinistra esclusi dal Parlamento nel 2008, ossia i Verdi, i socialisti e la Federazione della Sinistra (Rifondazione comunista e Pdci) che sperano nella rinascita dell'Ulivo (nuovo o vecchio non si è ancora capito). Ma da martedì c'è pure lo stesso Walter Veltroni che dalla trasmissione di Andrea Vianello, Agorà, si è dichiarato favorevole ad una specie di «Santa alleanza» costituente, che in poche parole significa «tutti contro Silvio». Ma non finisce qui, perchè all'opposizione di questa proposta c'è Nichi Vendola, leader di Sinistra e Libertà e governatore della Puglia, che ha ribadito la sua contrarietà ad un'alleanza con il Terzo Polo. E dentro il nascente Terzo Polo c'è un'opposizione interna a Futuro e Libertà che è contraria al progetto terzapolista: di essa fa parte le politologa Sofia Ventura e Alessandro Campi, che da pochi giorni ha lasciato la direzione scientifica della fondazione FareFuturo, fondata nel 2007 dal presidente della Camera Gianfranco Fini. Contro la scelta di Alessandro Campi di sfilarsi da Futuro e Libertà si è espresso Filippo Rossi, suo compagno di viaggio dentro Fare Futuro e direttore responsabile del giornale online ffwebmagazine.it, secondo cui è giunta l'ora che anche gli intellettuali si schierino apertamente contro Berlusconi. Poi c'è pure Luca Barbareschi, che è stato molto critico verso le scelte di Futuro e Libertà e che ha avuto un vivace «scambio di penne» con Gianfranco Fini.
Il fronte «giustizialista», invece, si è spaccato in quattro. Da un lato c'è l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro e dall'altro lato ci sono il Movimento a 5 stelle di Beppe Grillo, il nascente movimento politico «legittima difesa» di Michele Santoro e Marco Travaglio e Roberto Saviano che, con la sua manifestazione «Libertà e Giustizia» tenutasi al Palasharp Milano sabato scorso, si è guadagnato la stima di vari esponenti del centrosinistra che lo vorrebbero persino come candidato premier. All'opposizione del fronte giustizialista si possono ormai annoverare anche Domenico Scilipoti, Antonio Razzi e Amerigo Porfidia, che hanno recentemente lasciato l'Italia dei Valori per passare al gruppo di Iniziativa responsabile, che è ormai a tutti gli effetti «la terza gamba» del governo. In sintesi, qualora si dovesse andare ad elezioni, come ho già scritto all'inizio, non si saprebbe ancora né quali né quanti sarebbero i componenti del fronte anti-Berlusconi né gli eventuali leaders che lo comporrebbero.

L'ambiguità del Pd sul referendum di Mirafiori


di Francesco Curridori
curridori@ragionpolitica.it
  
sabato 15 gennaio 2011

54% i sì, 46% i no. È questo il verdetto del referendum sull’accordo sindacale dello stabilimento Fiat di Mirafiori che inchioda le posizioni ambigue e troppo spesso massimaliste del Partito democratico. Il principale partito d’opposizione si è trovato ancora una volta diviso e impreparato su un tema cruciale per l’economia italiana.
Se da un lato, nei giorni scorsi, era montata una forte polemica tra Massimo D’Alema e il segretario Fiom Maurizio Landini su chi fosse più vicino al mondo operaio, dall’altro lato Antonio Di Pietro approfittava dell’atteggiamento ambiguo del Pd per farsi portatore delle istanze del fronte del no. A guardare gli esiti del referendum si può notare come i più ostili all’accordo siano stati soltanto gli operai della catena di montaggio iscritti alla Fiom e ai Cobas le cui posizioni sono state sostenute solo da Nichi Vendola e dalla sinistra antagonista di Marco Ferrando e da Marco Rizzo. Stavolta però ha vinto la linea del cambiamento contro quello del mantenimento dello status quo.
Non si capisce però se questa possa essere anche una vittoria del Pd perché, dopo le prime aperture a Marchionne da parte di esponenti come Piero Fassino, Enrico Letta e Sergio Chiamparino, il Partito democratico ha dato l’impressione di non aver avuto il coraggio di rompere definitivamente con le posizioni massimaliste della Cgil e della Fiom. Le reazioni immediatamente successive all’esito del voto sono legate ad una linea politically correct, che in italiano si potrebbe tradurre come «cerchiobottista». La verità è un’altra.
Dentro il Pd convivono (molto male) due anime: quella ex comunista legata ancora alla Cgil e quella ex democristiana ancora fortemente legata alla Cisl e alla sinistra cattolica. Nel Pd si ripresenta sempre una forte spaccatura tra due anime. Spaccatura che si risolve con il vecchio modello del «centralismo democratico». Si avvia la discussione ma poi la minoranza è costretta a tapparsi la bocca e all’esterno si cerca di nascondere le divisioni, trovando degli escamotage che presentino il partito sempre compatto. È successo così anche durante la direzione nazionale dove i veltroniani hanno prima rimesso i loro incarichi, poi hanno dichiarato che avrebbero votato no alla mozione del segretario Pierluigi Bersani e infine non hanno partecipato al voto e i loro incarichi sono stati confermati. In pratica tanto rumore per nulla. Sembrerebbe così, ma in realtà Chiamparino ha dichiarato che si è stufato di questa sinistra; Giuseppe Civati, braccio destro del sindaco di Firenze Matteo Renzi, si dice deluso da Bersani. Chissà se veramente lui e Renzi riusciranno a «rottamare» questa classe dirigente che è sempre la stessa da vent’anni? Una classe dirigente che, quando è nato il Pd, vede le primarie come la panacea di tutti i mali, ma nello stesso tempo anche il morbo principale del partito. Bersani non le vuole perché teme Vendola e non ha il coraggio di ammettere che preferirebbe che scomparissero.
Il Modem, movimento democratico, area di riferimento dei veltroniani, teme che senza le primarie l’attuale segretario, su consiglio del mentore D’Alema, voglia abdicare lo scettro di candidato premier (come stabilirebbe lo statuto del Pd) per dar vita ad una coalizione che comprenda Vendola, Di Pietro e Pier Ferdinando Casini e che veda quest’ultimo sfidante di Silvio Berlusconi. Una prospettiva quest’ultima impraticabile e perciò il Pd dovrà scegliere: o con Sel e Idv o con il Terzo polo, ma data l’attuale situazione alquanto critica pare che ancora una volta prevarrà il ma-anchismo, l’indecisione più totale. E intanto si fanno sempre più insistenti le voci di un addio degli ex popolari guidati da Giuseppe Fioroni e dell’ex rutelliano Paolo Gentiloni (i due che durante la direzione nazionale avevano rinunciato agli incarichi di partiti) che passerebbero con il terzo polo o formerebbero un ennesimo nuovo partito di centro. La prossima puntata di quella che sembra una lunga e intricata telenovela è prevista per il 22 gennaio, giorno in cui Veltroni a Torino terrà il suo Lingotto 2.

Renzi, Arcore e la caccia alle streghe

di Francesco Curridori
curridori@ragionpolitica.it
  
mercoledì 08 dicembre 2010

Silvio Berlusconi come il diavolo. Arcore come l'inferno. Matteo Renzi... come Pierino. Ancora una volta il sindaco di Firenze ha fatto indispettire il suo segretario di partito. «Non è vietato per un sindaco incontrare il presidente del Consiglio, ma esistono delle sedi, sennò si può capire male. A mio gusto sarebbe stato meglio Palazzo Chigi», è sbottato Pier Luigi Bersani, visibilmente innervosito dalla notizia dell'incontro che Matteo Renzi ha avuto lunedì col premier nella sua villa di Arcore. A seguire, una serie di commenti critici verso il «rottamatore» del Partito Democratico.
A disturbare i dirigenti nazionali apparentemente è l'ubicazione del faccia a faccia. La realtà è che a sinistra dà fastidio qualsiasi incontro ravvicinato o qualsiasi forma di dialogo col presidente del Consiglio. È successo anche in passato con Walter Veltroni, che è stato silurato pochi mesi dopo le elezioni. La sua grave colpa è stata quella di aver cercato di batter l'attuale premier senza sfruttare l'arma dell'antiberlusconismo. Ottenne il 34%, mentre ora il Pd è accreditato al 24.
Non si tratta solo di una questione numerica, ma di un problema di metodo. A sinistra non si riesce ad andare oltre la contrapposizione ideologica «Berlusconi sì, Berlusconi no». Ciò non significa che il metodo Veltroni o Renzi sia quello vincente o quello giusto, anche perché entrambi hanno fatto o faranno degli errori. L'ex sindaco di Roma a parole ha cercato un'intesa con Berlusconi, ma in concreto si è fatto travolgere dallo tsunami dipietrista forse perché per la sinistra è impossibile vincere senza giocare la carta dell'antiberlusconismo. Sia Veltroni sia Renzi, inoltre, hanno commesso l'errore di aver provato a mettere degli argini al Partito Democratico. Il primo pose dei limiti nelle alleanze a sinistra, il secondo invece ha avuto il coraggio di dire basta con la vecchia nomenklatura comunista rappresentata proprio dai due dinosauri della sinistra: Massimo D'Alema e Walter Veltroni. Proprio questi storici arci-nemici, meno di una settimana fa, sono stati accusati di voler dar vita ad un asse tutto interno al partito con lo scopo di far fuori Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola, il più accreditato a guidare la futura coalizione di centrosinistra.
Ad avvelenare ulteriormente il clima nel partito è stata, in questa settimana, la proposta del senatore dalemiano Nicola Latorre secondo cui il Pd andrebbe rifondato e aperto anche a Vendola. Un ragionamento che suona come il vecchio detto: «Se non puoi batterli, unisciti a loro». In questo caso non si tratterebbe di una fusione tra due partiti, ma la cooptazione del più piccolo partito dentro il più grande. Ipotesi, questa, che ha diviso nuovamente il partito e mandato su tutte le furie gli ex Popolari, tanto che Franco Marini ha subito ammonito gli ex Ds: «Sento parlare di "rifondare il Pd", imbarcando Vendola. E' il tuffo in un passato remoto, uno sbandamento. Se qualcuno coltiva davvero questa idea, la declassi a nostalgia del Pci, altrimenti offre un segnale di fine dell'esperienza dei Democratici». Se a destra i finiani e i berlusconiani hanno preso due strade diverse, popolari e post-comunisti vivono da separati in casa e chi, come Matteo Renzi, cerca di modificare l'attuale status quo, viene subito preso di mira.

L'eterna lotta tra massimalisti e riformisti dilania il Pd

di Francesco Curridori
curridori@ragionpolitica.it
  
venerdì 17 settembre 2010

Ormai raccontare le vicende del Partito democratico è come sparare sulla croce rossa. Dalle politiche del 2008 in poi tutti i titoli dei maggiori quotidiani italiani sono stati perlopiù: Pd in stato confusionale. Alla lunga questa finisce per diventare una frase fatta ma è la più adatta per descrivere l'attuale situazione del primo partito d'opposizione. Non serviva la sfera di cristallo per pronosticare quello che sarebbe potuto succedere e che ora puntualmente si sta verificando, ossia il risveglio ufficiale della minoranza interna guidata da Walter Veltroni.
Apparentemente potrebbe sembrare una semplice lotta di potere tra due correnti in contrasto da più di vent'anni, ma in realtà la contesa tra i «democrat» veltroniani e gli «ulivisti» dalemiani non è altro che l'eterna lotta tra riformisti e massimalisti. Solo che nella sinistra italiana postmoderna, quella del dopo 1989 per intenderci, chi vuole prendere il potere assume di volta in volta l'uno o l'altro ruolo. A seconda del momento politico contingente chi guida l'opposizione interna al partito (sia esso Pds, Ds o Pd) decide se è il caso di assumere una linea più riformista, che escluda quindi i partiti di estrema sinistra, o viceversa scelga la via dell'Ulivo o dell'Unione e proponga di inglobare nella coalizione chiunque si opponga al «regime berlusconiano».
Le formule politiche come «la vocazione maggioritaria» o il «nuovo ulivo» sono create ad arte per attirare l'attenzione dei politologi, ma finiscono con l'allontanare gli elettori. Lo smarrimento dell'elettore di sinistra cresce sempre più a dismisura quanto più si susseguono le miriadi di dichiarazioni dei vari leader, locali o nazionali, del centrosinistra. Chi di recente ha puntato il dito contro l'establishment del Pd non è stato solo Veltroni col suo documento, ma anche il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha attaccato il segretario Pierluigi Bersani, mentre l'ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari ha definito «una puttanata» il nuovo Ulivo.
Facile dunque prevedere che in questo marasma generale a trarne vantaggio siano stati Nichi Vendola e Antonio Di Pietro. La sinistra radicale ed il popolo viola sono stati i protagonisti delle più grandi contestazioni avvenute durante la Festa democratica di Torino dove Raffaele Bonanni, leader della Cisl, è stato accolto con i fumogeni, mentre Franco Marini e il presidente del Senato Renato Schifani sono stati fischiati. Segno, questo, di un partito in rotta di collisione senza una leadership forte che abbia deciso se schierarsi con l'ala massimalista o con l'anima riformista della sinistra. Il Partito democratico annaspa e, in attesa di trovare tale leadership forte, si dilania al suo interno per la lotta alla poltrona di segretario anche perché il posto di candidato premier è vacante. Perché? Perché si è sciolto il nodo delle primarie? No, le primarie non si faranno perché l'ipotesi di elezioni, ogni giorno che passa, si allontana sempre di più e quindi cessa la necessità di scegliere se il segretario del partito debba essere anche il candidato premier (come vollero i veltroniani nel 2008), se si debbano fare le primarie (come vorrebbe Vendola) oppure se, come leader, la scelta debba ricadere su un «papa straniero», come ipotizzato in questi giorni da Veltroni e dai suoi fedelissimi. Quest'ultimo nodo verrà sciolto molto più facilmente se, come sembra, si concretizzerà la rottura con una scissione.

La sinistra è ancora priva di un leader forte

di Francesco Curridori
curridori@ragionpolitica.it
  
sabato 13 novembre 2010

Nei giorni convulsi dell'attuale crisi politica, la sinistra è ancora spaccata e la base del Pd, soprattutto l'area giovanile, comincia a guardare, anche se con qualche scetticismo, verso Nichi Vendola. Di Vendola si apprezzano le posizioni nette e chiare espresse nel corso del congresso nazionale di Sinistra Ecologia e Libertà. Il suo linguaggio forbito e poetico ma diretto ne fa il nuovo «messia» del centrosinistra. Rispetto al passato il suo antiberlusconismo sembra all'apparenza essersi ammorbidito, perché il suo intento è vincere le primarie di coalizione in caso di elezioni anticipate. Il Vendola-comunicatore, a differenza di Bersani, sa bucare lo schermo e sa quando sferzare l'attacco, come è successo col video-messaggio trasmesso qualche giorno fa su Youtube. Un messaggio di grande effetto, appunto, anche se con scarsi contenuti. Il leit-motiv che il governatore della Puglia ripete ormai da tempo, infatti, è che non basta liberarsi di Berlusconi, ma ci si deve liberare del berlusconismo, ossia di quella rappresentazione di un Paese dallo stile di vita modellato secondo le regole del Grande Fratello. Secondo questa concezione, Berlusconi non è la causa di tutti i mali, ma l'effetto prodotto dall'insieme dei difetti degli italiani.
Questo è il Vendola-pensiero con cui la sinistra si presenterebbe come alternativa di governo in caso di elezioni anticipate. Ma questa concezione della politica e degli italiani non solo si discosta di molto dalla promessa di tornare a occuparsi dei problemi reali degli italiani, ma sminuisce anche il valore stesso che si attribuisce agli elettori: come se fossero tutti lobotomizzati da Mediaset e dintorni. La verità è ben diversa. La teoria comunicativa nota come «bullet theory», secondo cui i telespettatori sono degli individui che ricevono passivamente il messaggio televisivo come se fosse un proiettile (bullet, appunto) dal quale non poter sfuggire o contro cui non poter reagire, è superata ormai da decenni.
Un terzo attore che si vuole fare strada nel panorama del nuovo centrosinistra è il sindaco di Firenze Matteo Renzi, che ha come obiettivo quello di rottamare la vecchia classe dirigente della sinistra che da anni vive, o meglio sopravvive, sul dualismo D'Alema-Veltroni. Per il bene dell'Italia c'è da augurarsi che Renzi riesca nel suo ambizioso progetto, ma c'è da chiedersi quale scenario egli prefiguri dopo la rottamazione. Insomma, dopo aver distrutto bisogna poi ricostruire, e per farlo non basta elencare ciò che non va. Bisogna avere un progetto e un certo seguito, e avere il coraggio di metterci la faccia, di scendere in campo aperto e non trincerarsi dietro alla frase di rito «io faccio il sindaco di Firenze, il mestiere più bello del mondo, ed intendo continuare a farlo». Così si confonde l'elettorato e la base del Pd.
Questi tre protagonisti della sinistra dimostrano quindi, ancora una volta, che non c'è nessuno in grado di contrapporsi a Berlusconi. Bersani sa di vecchio, Renzi d'inesperienza e Vendola ha l'handicap di guidare un partito che non raggiunge il dieci per cento. E, se si andrà a elezioni, tutto potrà accadere, ma appare improbabile che il Pd diventi il «primo partito», come ha annunciato già trionfante il suo segretario.

La profonda crisi del Pd


di Francesco Curridori
curridori@ragionpolitica.it
  
martedì 21 settembre 2010

Walter Veltroni, nel 2008, come leader del centrosinistra, portò il Partito Democratico al 33,7% e fece eleggere ben 325 parlamentari. Ora di questi 325 solo 75 hanno sottoscritto il documento redatto in questi giorni dalla minoranza del partito guidata dall’ex sindaco di Roma. La più alta poltrona del Campidoglio sembra non portare bene a chi decide di sfidare Berlusconi alle politiche. Francesco Rutelli, che nel 2001 sfidò il premier, nel corso degli ultimi anni è stato emarginato dentro il Pd ed ora guida un partito che, secondo i sondaggi, sfiora a malapena l’un per cento.
Ma, volendo tralasciare gli excursus storici, resta il fatto che, personalità come Dario Franceschini e Piero Fassino abbiano cambiato corrente nel giro di appena un anno dal congresso che ha eletto Pierluigi Bersani segretario. Ecco quindi che, anche se non ci sarà una vera e propria scissione, si intravede un futuro sempre più funesto per il Pd, primo partito d’opposizione. Primo si, ma anche molto debole, come ricordano i veltroniani nel loro documento. Il Pd vive nel pieno di un paradosso: «è riuscito ad ottenere quasi il 34 per cento dei voti nel momento di massima difficoltà per il centrosinistra e di massimo consenso al berlusconismo e fatica oggi a stare sopra il 25 per cento, in piena crisi politica del centrodestra». Ammesso e non concesso che la crisi del centrodestra sia così grave da non poter essere superata, agli occhi degli italiani la crisi della sinistra appare grande come una trave.
La gente comune non si capacita di come sia possibile che nel momento in cui è in atto una spaccatura tra i fondatori del Pdl, si verifichi una situazione analoga anche a sinistra. Il «documento dei 75», sebbene nei primi 5 punti sia sostanzialmente in linea col partito nell’opposizione al governo Berlusconi, nelle sue parti finali smonta tutta l’impostazione politica dalemo-bersaniana. L’attuale classe dirigente del partito viene accusata di scarso coraggio e di oscillare tra un’ipotesi «neo-frontista» ed una «vetero-centrista». Come si spiega nel documento la prima «punta a raccogliere lo schieramento quantitativamente più vasto, talmente vasto da avere in comune solo l’avversario: un errore strategico, che in passato il centrosinistra ha già pagato caro, in termini di tenuta, di affidabilità, di credibilità, di autorevolezza». La seconda propone «una riedizione di un modello di sistema politico che assegna a tavolino la rappresentanza dei delusi dal berlusconismo a un polo moderato, spinto da sinistra a giocare una partita di autonomia e convenzionalmente abilitato ad esercitare un ruolo di perno nella evoluzione del quadro politico italiano. Da qui i rischi di trasformismo…». Secondo gli oppositori alla linea veltroniana della vocazione maggioritaria (che nel documento rimane ancora una formula priva di un concreto significato), c’è da chiedersi se Veltroni è tanto ingenuo da pensare che Berlusconi si possa battere correndo «da soli». Ma, a mio avviso, c’è da chiedersi anche come un elettore moderato possa scegliere di votare un’Unione di Centro alleata con la sinistra? Da questo punto di vista, perciò, Veltroni non avrebbe tutti i torti ad opporsi all’ipotesi «vetero-centrista», ma appare altresì presuntuoso ed inverosimile immaginare che il Partito democratico possa captare da solo l’elettorato moderato. Si ricordi, infatti, che molti esponenti cattolici nel corso di questi due anni sono passati dal Pd all’Udc o all’Alleanza per l’Italia di Rutelli.
Insomma se Atene piange, Sparta non ride. ll centrodestra sta risolvendo la sua crisi sfruttando proprio la debolezza della sinistra attaccandola dal suo cuore nevralgico: il centro. E poco importa se Enrico Letta pensa di risolvere la crisi interna al Pd negando la necessità di trovare un nuovo Prodi in quanto «un Prodi c’è già ed è Bersani». Un Bersani che ha avviato la campagna «rimbocchiamoci le maniche» incurante di ciò che avviene nel suo schieramento. Circondato com’è da Vendola e da Veltroni, forse sarà proprio lui a chiedere ospitalità ad un Papa straniero per salvarsi dalle grinfie dei suoi avversari.

POL - *Fli, Croppi: Finora fase nebulosa, ora organi per definire strategie

Roma, 10 feb (Il Velino) - “Fino ad oggi il Fli ha vissuto una fase nebulosa costituente in cui non esistevano organi che potessero definire le strategie, solo tramite i giornali si potevano capire gli orientamenti del movimento. Il congresso di costituzione è un'importante occasione per capire la forma del progetto. Capiremo come attivare le grandi potenzialità sviluppate in questi mesi dal Fli”. Umberto Croppi, ex assessore alla cultura di Roma, che recentemente ha aderito al progetto finiano, intervistato dal VELINO ad un giorno dall’inizio dell’assemblea costituente di Futuro e Libertà, si mostra fiducioso verso la sua nuova avventura politica e vede la nascita del Fli come “una grande opportunità”. In merito all’uscita dal gruppo finiano di alcuni suoi parlamentari, come Silvano Moffa e Souad Sbai, Croppi ha sottolineato che “il Fli deve essere costituito da una vasta area che prescinde dai parlamentari che lo rappresentano. Il partito dovrà aggregare persone nuove che non vengono dalla politica”. Quindi un po’ come fece Berlusconi nel ’94? “No, non si tratta di arruolare persone nuove - spiega Croppi - sennò tutto diventa un discorso fine a se stesso teso solo ad ottenere voti”. “A Fini guardano persone che non si sentono rappresentate e sono loro che devono diventare i protagonisti del partito”. Secondo Croppi, invece, le critiche recentemente avanzate da Alessandro Campi, ormai ex direttore della fondazione FareFuturo, sono solo delle “obiezioni riguardanti le scelte degli ultimi mesi e per esigenza giornalistica lui è stato definito ideologo del Fli, ma sono tanti gli intellettuali che si sono avvicinati al progetto del Fli”. Sull’ipotesi terzopolista, infine, Croppi si mostra scettico e spiega che “In questi mesi ha prevalso il tatticismo ma nel momento in cui nasce il partito si deve volare alto. Il Fli, prima di ragionare sulle alleanze, deve darsi una sua fisionomia”.
 
(spk) 10 feb 2011 20:04

POL - Pd, Civati: No alla Santa alleanza, puntiamo al sorpasso del Pdl

Roma, 9 feb (Il Velino) - “Prima delle formule politiche sulle alleanze viene l'iniziativa politica. Quando il Pd si mobilita, vedi il caso della raccolta di firme che sta andando molto bene, i risultati si vedono”. Giuseppe Civati, “rottamatore” lombardo del Pd, al VELINO evidenzia così la sua disapprovazione verso la nuova linea della “Santa alleanza” proposta inaspettatamente ieri da Walter Veltroni che dalle telecamere di Agorà, ha abbandonato la “vocazione maggioritaria” riproposta recentemente al Lingotto. “Sarebbe importante – continua Civati - se il primo passo fosse il sorpasso del Pd sul Pdl. Il Pd, in sostanza, deve diventare una forza che dà la linea e che impone la sua fisionomia. Come ha già detto ieri Renzi alla Stampa, “facciamola noi la partita”. Secondo Civati tra l'elettorato “al momento prevale l'indignazione che però deve diventare proposta politica. Nessun elettore è intrigato dal sapere se andiamo con Casini, ma è interessato a quello che intendiamo fare”. “Berlusconi – conclude Civati - proverà a finire la legislatura, facendo anche carte false, e perciò non do per scontata la caduta del governo, ma invito ad essere pronti a tutte le evenienze”.
 
(spk) 9 feb 2011 19:58

POL - Pd, Tonini e Merlo non credono a Saviano "papa straniero"

Roma, 7 feb (Il Velino) - “Non sono né a favore né contro. Roberto Saviano ha sempre detto che non è interessato”. Interpellato dal VELINO, Giorgio Tonini, senatore veltroniano del Pd, mostra di non credere all'ipotesi del “papa straniero” ventilata da più settori del centrosinistra e rilanciata oggi dal Corriere della Sera, all'indomani della manifestazione di “Libertà e Giustizia” svoltasi al Palasharp di Milano con lo scrittore campano in veste di protagonista. Più caustica l'opinione del deputato ex popolare Giorgio Merlo, che al VELINO, dichiara: “Credo che ognuno debba fare il proprio mestiere. Non basta apparire in tv. Di opinion leader televisivi la sinistra ne ha più di venti, basti pensare a Travaglio, Floris, Fazio, Celentano o l'Annunziata. Il candidato premier, invece, deve avere una forte linea programmatica”. Tonini sottolinea che l'ipotesi di un papa straniero leader del centrosinistra “è una cosa così lontana rispetto al tempo in cui viviamo… Anche Enrico Letta sull'Unità lo ha ribadito”. “È utile ragionare sulla nostra proposta piuttosto che a un'alternativa purché sia. Al momento il governo ha la maggioranza. Una maggioranza che galleggia, e tanto più forte sarà la nostra proposta tanto meno tempo Berlusconi resterà al governo”.

Tonini, poi, in merito all'ipotesi di un confronto con la maggioranza sui temi economici auspicato la scorsa settimana dal premier Silvio Berlusconi, è scettico, ma concede uno spiraglio: il confronto potrebbe decollare qualora “il governo venisse in Parlamento con una proposta articolata”, così come già avvenuto con il federalismo. “Quando abbiamo visto provvedimenti utili li abbiamo sostenuti, altri, come l'ultimo - conclude Tonini, riferendosi al decreto sul federalismo municipale – non li abbiamo considerati validi”. Secondo Merlo “Il discorso sul federalismo può ripartire solo se si apre una nuova fase politica, come ha spiegato ieri Bersani”.
 
(spk) 7 feb 2011 19:53

domenica 6 febbraio 2011

POL - Patto per crescita,Bersani chiude a Berlusconi: Faccia passo indietro No anche dalle altre forze di opposizione. Marcegaglia: Bisogna concentrarsi e parlare di crescita

Roma, 31 gen (Il Velino) - "Per rivolgersi credibilmente all'opposizione Berlusconi dovrebbe rivolgersi credibilmente al Paese e alla Comunità internazionale. Così non è. Noi nel ruolo che abbiamo siamo pronti a prenderci le nostre responsabilita', ma lui deve fare un passo indietro e togliere dall'imbarazzo se stesso e il Paese". Così in serata la voce del segretario del Pd Pier Luigi Bersani si è aggiunta al coro di no che i vari esponenti dell'opposizione hanno pronunciato contro la proposta del premier Silvio Berlusconi di aprire un tavolo di confronto per un patto per la crescita. Sulla stessa linea anche il vicesegretario Enrico Letta secondo cui la proposta "Arriva a tempo scaduto. Questo confronto lo chiediamo da due anni ma Berlusconi ci ha sempre detto che andava tutto bene”. “C’è un cambio di scenario - ha sottolineato Letta - che dà l’idea di un Berlusconi che cerca disperatamente di evitare il voto. Noi diciamo con grande chiarezza: si volti pagina, un nuovo presidente del Consiglio di questa maggioranza con il quale ci confronteremo oppure su questi temi ci confronteremo con Berlusconi ma in campagna elettorale”. Letta fa una controproposta a Berlusconi. “Siamo convinti della necessità del confronto - ha proseguito - e se confronto ci deve essere ci sia, ma in televisione sui temi centrali della vita politica del paese. Questo sarebbe un modo per evitare di buttare la palla in calcio d’angolo e andare degli italiani e affrontare le questioni reali”.

Un no alla proposta di Berlusconi arriva anche dal leader di Alleanza per l’Italia, Francesco Rutelli, che ha precisato: “Un presidente del Consiglio, se è in carica, presenta delle proposte di legge per la crescita e le liberalizzazioni, non scrive articoli. È un inganno. Berlusconi è al potere da 8 degli ultimi dieci anni, perché non ha fatto le riforme?”. “Il presidente del Consiglio - ha commentato il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa - propone un patto per le liberalizzazioni, ma dimentica la timidezza e la reticenza con cui il suo governo in questi tre anni ha affrontato la questione. Se oggi è pronto all'autocritica non possiamo che prenderne atto con soddisfazione: meglio tardi che mai''. Critici anche i finiani, che con Adolfo Urso giudicano l'intervento di Berlusconi "poco credibile e molto confuso".

Netto il no dell’Italia dei valori all’appello lanciato da Berlusconi. “Ci sembra un tardivo segnale di resipiscenza operosa - ha spiegato Nello Formisano -. Siamo fuori tempo massimo, il Cavaliere cerca di aggrapparsi alle ragnatele, ma l'unica soluzione è che lasci il governo del paese, restituendo la parola al popolo sovrano''. Dello stesso parere la vicepresidente del Senato Emma Bonino: “Se c'è qualche spazio va sempre colto, ma Berlusconi non è più credibile”. Per Oliviero Diliberto, portavoce della Federazione della sinistra, invece, “Berlusconi si arrampica su specchi sempre più oleosi e, pur di uscir fuori dal tunnel dei suoi scandali, e ridarsi una serietà politica sinceramente improponibile, tenta di lanciarsi in riflessioni scritte che non hanno capo né coda”.

''Le prime reazioni degli esponenti del Pd all'articolo e alle proposte di merito e di dialogo da parte di Berlusconi sono francamente deludenti. Da esse sembra che D'Alema sia già riuscito a sciogliere le Camere, quindi che siamo già in campagna elettorale”, ha replicato il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto. “Quella di Berlusconi - ha sottolineato - è una proposta positiva, che richiede evidentemente molti approfondimenti, ma che non può essere demonizzata come il suo autore. Dal tenore delle prime risposte sembrerebbe che nel Pd l'unico a svolgere un ruolo in servizio permanente effettivo è il responsabile stampa e propaganda''. Anche per il capogruppo dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri “chi rifiuta il confronto sbaglia. Il governo comunque andrà avanti, forte della fiducia più volte ottenuta in Parlamento''. Il ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini ha auspicato che “l'opposizione raccolga la sfida delle riforme e abbandoni la logica delle corporazioni e degli interessi di chi è già garantito". “Non c'è niente da fare - ha commentato il ministro per i Beni culturali Sandro Bondi - la sinistra è incapace di intendere il valore del dialogo rispettoso,del confronto sui contenuti, della collaborazione nell'interesse del Paese".

''Non raccogliere questa opportunità di dialogo - ha aggiunto il ministro all’Ambiente Stefania Prestigiacomo - rappresenterebbe la conferma che la sinistra ha scelto di abdicare al proprio ruolo politico nell'attesa vana di un 'golpe' giudiziario contro Berlusconi, ma anche contro la volontà popolare espressa dagli italiani alle elezioni''. Sulla proposta di Berlusconi è intervenuta pure il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. “La crescita è l'aspetto più importante - ha osservato - quindi bisogna concentrarsi e parlare di crescita”. E a proposito dell’ipotesi di introdurre una patrimoniale per ridurre il debito pubblico ha aggiunto: “Non è la scelta corretta, piuttosto si vendano i beni pubblici".
 
(spk/ala) 31 gen 2011 18:18

POL - Pd: veleni post-Lingotto, Fassina attacca Veltroni (e “Repubblica”) Critiche alle ricette Modem in un documento firmato dal responsabile economico della segreteria Bersani

Roma, 26 gen (Il Velino) - “Nonostante le celebrazioni di qualche autorevole quotidiano convinto di poter tornare a eterodirigere il Pd, la relazione di Walter Veltroni al Lingotto 2 segnala una chiara convergenza programmatica della minoranza del partito sulle scelte compiute dall’Assemblea nazionale di Roma e di Varese”. È questo l'inizio del documento riservato che circola nei settori bersaniani del partito dopo l'appuntamento di Movimento democratico, la componente di minoranza guidata da Walter Veltroni, al Lingotto. Il testo, di cui "Il Foglio" dà conto, è pubblicato integralmente sul blog di uno dei redattori del quotidiano, Claudio Cerasa. “Sul piano politico – si rileva nel documento firmato da Stefano Fassina, responsabile economico del partito - è noto e provato nell’azione di governo l’ampio consenso nel Pd per la riduzione del debito pubblico. Non a caso, in tutti i documenti economici del Pd indichiamo il vincolo. Quindi, nessuna obiezione principio. Il punto è tecnico: l’obiettivo indicato da Veltroni è irrealizzabile: nessun paese al mondo è riuscito a ridurre di 40 punti percentuali di Pil (640 miliardi di euro) il debito pubblico in 9 anni”. Le teorie economiche dei veltroniani vengono smontate punto per punto. “Primo, la proposta di Veltroni di cartolarizzare il patrimonio pubblico attraverso un’agenzia non funziona. È stata messo in atto nel 2004 dal Ministro Tremonti e gli esiti, nonostante l’entusiasmo iniziale per la cartolarizzazione fosse a via XX Settembre alto almeno quanto al Lingotto, sono stati positivi soltanto per gli advisor bancari. Come noto, l’INPS a fine 2008 ha dovuto ricomprare gli immobili ceduti dal demanio alle varie Scip e cartolarizzati”. Quanto alla spesa primaria corrente, “l'’indicazione di un obiettivo quantitativo in riferimento al Pil - scrive ancora Fassina - è una posa gladiatoria più in sintonia con i tagli orizzontali del ministro Tremonti che con l’impianto culturale di una corretta ed efficace spending review, ossia bottom up, non top down”.

Profonde diversità emergono tra gli strateghi Pd anche sull'imposta patrimoniale. “La possibilità di un’imposta straordinaria sul patrimonio l’abbiamo discussa a lungo per la preparazione del documento di Varese. Poi, l’abbiamo scartata perché sarebbe massimamente regressiva data la composizione e la residenza del patrimonio italiano”. “Insomma, per arrivare ad un gettito significativo – sottolinea Fassina - si dovrebbero tartassare pesantemente i proprietari dell’abitazioni di residenza o le famiglie possessori di titoli di Stato o di conti correnti bancari”. La via maestra secondo i bersaniani passa attraverso le riforme strutturali e “per il recupero dell’evasione fiscale, la distintiva anomalia italiana, completamente assente nel riassunto programmatico svolto al Lingotto 2. Un’assenza di solito strumentale nei discorsi della destra. Un’assenza preoccupante per un impianto centrato sul ripristino del primato della legalità”. Per quanto riguarda le politiche relative al mondo del lavoro, “al Lingotto 2 si abbandona l’attacco all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e si sceglie la strada della rimozione dei vantaggi economici dei contratti precari, la vera causa della precarietà”. L’esponente della segreteria Bersani riconosce comunque che “il Lingotto 2 è stato un passaggio importante in quanto ha evidenziato che anche la minoranza del Pd converge su punti programmatici elaborati dall’insieme del Pd, non solo dalla maggioranza, nei mesi scorsi”. Per quanto riguarda il complessivo approccio politico-culturale, Fassina afferma che “il paradigma liberal-democratico” dei veltroniani non è più adeguato e va quindi superato. Il pensiero liberale ed individualistico non è, secondo Fassina, in grado di affrontare le sfida della crisi e la politica “non può limitarsi a liberare gli individui dai lacci e lacciuoli delle istituzioni pubbliche”. “Celebrare la ‘modernità’ economicistica di Marchionne – secondo Fassina - implica una prospettiva di rassegnazione pragmatica e di subalternità politica al lavoro. Invece, la centralità politica ed economica del lavoro è l’eredità del ’900 da portare nel riformismo del XXI secolo”. Infine, “la scelta di delegare a Vendola la rappresentanza della fascia di gran lunga più ampia del lavoro - conclude il documento - in una singolare contraddizione con il ritornello di Modem di non appaltare ad altri la raccolta dei voti nell’arena del centrosinistra, porterebbe il Pd ben al di sotto di quanto indicato dagli attuali, strumentalizzati ed incompresi sondaggi”.
 
(spk) 26 gen 2011 18:40

POL - Campi: Terzo polo? Progetto senza prospettive Il Fli nasce come partito di Fini ma senza finiani

Roma, 24 gen (Il Velino) - “Il terzo polo? Non so quanto sia positiva come soluzione. Non mi sembra che ci sia un progetto politico con prospettive. È solo un progetto parlamentare in vista di elezioni politiche anticipate. C’è il rischio di impantanarsi in una palude con l’unico scopo di far fuori Berlusconi”. Così Alessandro Campi, direttore scientifico di FareFuturo, nel corso di una conferenza sul tema nella nazione, ha espresso i suoi dubbi sul progetto del nascente partito della nazione. “Non credo – prosegue Campi - che Fini ora possa creare quel partito liberale che in Italia non c’è mai stato. Non si può chiedere a Fini più di quello che può fare. La rivoluzione liberale la doveva fare Berlusconi. Fini può portare a compimento il processo evolutivo della destra italiana. Il fascismo ha lasciato in Italia il neofascismo. Quella storia Fini ha cercato di buttarla alle spalle. Con la svolta di Fiuggi ha liquidato frettolosamente il cinquantennio neofascista. Ha cercato di trasformare la destra impresentabile in destra accettabile poi è successo che in An si è inceppato il ricambio di classe dirigente”. “Ora, questa nuova destra ha dei confini molto labili e la difficoltà più grossa di Fini è ancora una volta il gruppo dirigente. C’è il pericolo – conclude Campi - che Fli nasca come il partito di Fini ma senza che ci siano finiani, ossia con un gruppo dirigente che non condivide le prospettive di Fini degli ultimi anni. Molti residui ex missini sono difficili da rimuovere”.
 
(spk) 24 gen 2011 21:30

POL - Federalismo, Stradiotto (Pd): Positivo rinvio per valutare modifiche

Roma, 21 gen (Il Velino) - “Il rinvio ci dà la possibilità di valutare le proposte sulla base delle singole modifiche, accompagnate da una relazione tecnica”. Marco Stradiotto, senatore del Veneto, ha espresso al VELINO la sua soddisfazione per la decisione del governo di rinviare di una settimana l'approvazione del testo sul federalismo municipale. “La mia simulazione, fatta prima di queste ultime modifiche – spiega il senatore, autore del recente studio sui costi del federalismo municipale - non ha più valore. Il problema che avevo riscontrato era che per attuare tale riforma ci voleva un fondo perequativo troppo elevato. Ora, invece, con le ultime modifiche, le entrate relative ai comuni dipenderanno dalle finanze derivate, ossia dai soldi che vanno a Roma e che poi tornano da Roma. Non c'è più l'autonomia finanziaria. L'unica leva è l'irpef e quindi chi evade ci guadagna, mentre chi paga viene tartassato”. Stradiotto individua anche un secondo problema: “Se in un comune ci sono poche seconde case e poche fabbriche, il sindaco non può aumentare al massimo l'addizionale Irpef e così è costretto ad aumentare le tasse sui servizi come ad esempio quelle sugli asili e sui rifiuti”.
“Il Pd – conclude il senatore del Veneto – chiede che non si calpestri l'autonomia finanziaria municipale. È un grave errore se i soldi vanno e vengono da Roma. I contribuenti sono i primi che pretendono che il federalismo funzioni per ridurre così gli sprechi e l'evasione fiscale”.
 
(spk) 21 gen 2011 17:38

POL - Pd, Farinone: Bene presenza vertici di partito a Lingotto

Roma, 20 gen (Il Velino) - “È importante l’adesione all’incontro del Lingotto da parte dei vertici del Pd. La presenza di Bersani, Letta e Franceschini è un passo importante. Bisogna guardare al futuro e non al passato”. Lo dice al al VELINO il deputato ex Ppi Enrico Farinone, a due giorni dall’iniziativa del Movimendo democratico che si terrà al Lingotto di Torino, dove Veltroni nel 2007 annunciò la sua candidatura a segretario del Pd. In merito al caso Ruby e ai suoi riflessi sul quasdro politico, Farinone osserva: “Bisogna uscire da questa situazione imbarazzante per il Paese e attrezzarsi al meglio per ogni eventualità”. Secondo il deputato democrat schierato coi Modem è prematuro parlare di elezioni politiche, perciò “si deve tornato allo spirito originario del Pd che ci portò a raggiungere il 33 per cento di consensi” per vincere innanzitutto le Amministrative di Torino, Napoli e Milano. “A Torino - assicura Farinone – Veltroni e Fioroni parleranno di famiglia, di economia e di temi concreti riguardanti il paese e non si soffermeranno sugli schemi di partito”.
 
(spk) 20 gen 2011 17:24

POL - Pd, Civati: Bersani teme primarie con Vendola

Roma, 13 gen (Il Velino) - “Per una volta spero sinceramente di sbagliarmi e che questa linea, nella quale faccio davvero fatica a riconoscermi, si riveli quella 'giusta'. Perché se è quella 'sbagliata', temo che saranno guai”. Si conclude così la nota in cui Giuseppe Civati spiega sul suo blog le ragioni del suo giudizio critico sul dibattito di oggi in Direzione. “Non c'è più – spiega il rottamatore del Pd - il Nuovo Ulivo di cui Bersani parlò nella lettera di questa estate. Non c'è alcuna relazione particolare con Di Pietro e Vendola, rispetto a quella che si potrebbe costruire con il Terzo Polo”. “C'è chi dice che Vendola e Fini sono alleati eventuali, sullo stesso piano, come lo erano - in tempi molto diversi, per altro - Bertinotti e Dini (una consonante di differenza). Secondo me, - continua Civati - se posso, non è vero (i nostri elettori, quasi nessuno, la pensa così) ed è anche molto pericoloso, perché da questa posizione è molto difficile "tornare indietro". “Se - prosegue il giovane consigliere regionale lombardo - Casini e Fini non ci dovessero stare o se non riuscissimo a costruire l'alleanza con loro, la coalizione di centrosinistra più classica arriverebbe sfinita alle elezioni e apparirebbe come una soluzione di ripiego. Non che non capisca, insomma, la ragione di un'interlocuzione con il Terzo Polo, ma continuo a sconsigliare al Pd di perderci l'anima e di trovare, sul punto, una misura e un equilibrio”.

Non manca poi l’affondo sulla posizione assunta da Bersani in merito alle primarie: “Sarebbe più sincero dire che in caso di estensione della coalizione verso il Terzo Polo non si faranno (e forse qualcuno sta pensando di non farle in ogni caso, o di non farle più di coalizione, come lo stesso Bersani ha sostenuto in passato, ma di tornare a primarie di partito)”. Secondo Civati il Pd avrebbe più paura delle primarie di coalizione che delle elezioni anticipate e perciò ironicamente consiglia al partito di “inserire nel proprio Statuto un articolo che dice: ‘Non può partecipare alle primarie chi si chiama Vendola di cognome e Nicola di nome (Nichi per gli amici e, soprattutto, per i compagni)’. In verità, non si capisce davvero perché il Pd non sia convinto di vincerle, le primarie, con un suo candidato, magari con lo stesso Bersani. Per me è un mistero, ma sono sicuramente io a sbagliarmi”. “Non c'è nessuna polemica da parte mia, - prosegue Civati - solo un po' di delusione nei confronti di una direzione che doveva essere risolutiva”. Il “rottamatore lamenta il fatto che Bersani abbia presentato una proposta di riforma di legge elettorale “senza specificare chi è d’accordo con questa impostazione”. Civati infine mette in evidenza che “l'esigenza di cambiamento che attraversa la società italiana va rappresentata con un profilo politico netto e preciso, con un forte progetto culturale, per 'andare oltre' B, come Bersani ripete spesso, riprendendo inconsapevolmente un nostro slogan di qualche mese fa. Il Pd dovrebbe fare così, rappresentare questo punto di vista. Un'esigenza ancora più forte in vista di alleanze dai contorni sempre più sfumati. Talvolta impalpabili”.
 
(spk) 13 gen 2011 19:19

INT - Carceri, Capece (Sappe): Chiediamo maggior uso pene alternative

Roma, 7 gen (Il Velino) - “La situazione è drammatica. Abbiamo superato i 69 mila posti letto sui 42 mila disponibili. Ormai non ci sono più differenze: il mafioso sta insieme al detenuto comune e ci sono problemi per la sicurezza”. Questo è lo scenario delle carceri italiane descritto al VELINO da Donato Capece, segretario del Sappe, il sindacato di polizia penitenziaria. “Il 27 per cento dei detenuti sono extracomunitari, mentre il 19 per cento sono tossicodipendenti. Mancano settemila agenti di polizia penitenziaria e l’unica assunzione prevista è quella di 60 nuovi agenti del turn over 2008”, spiega ancora Capece. “Secondo la legge 199 – prosegue il segretario del Sappe - ci dovrebbe essere una nuova tornata di assunzioni per 1600 nuovi agenti e, tutti i detenuti con una pena definitiva inferiore ad un anno dovrebbero passare agli arresti domiciliari, dopo le dovute verifiche del magistrato di sorveglianza. Tale provvedimento è ancora insufficiente: si passerebbe da 69 mila detenuti a 64 mila”. Il piano emergenza carceri prevede l’apertura di 17 nuove carceri e 42 padiglioni per una spesa complessiva di 600 mila euro. “I tempi dicono che saranno pronti per il 2012, ma io non ci credo. Noi chiediamo – conclude Capece - che si riveda il sistema sanzionatorio e cioè che in carcere ci vadano i criminali veri. Per gli altri chiediamo pene alternative come i lavori socialmente utili o gli arresti domiciliari”.
 
(spk) 7 gen 2011 14:09

ECO - Saldi, Confcommercio Roma: Bilancio positivo, centro preso d'assalto

Saldi, Confcommercio Roma: Bilancio positivo, centro preso d'assalto
Roma, 7 gen (Il Velino) - ''C'era grande aspettativa da parte dei commercianti della Capitale per questo avvio dei saldi invernali. Un'aspettativa che è stata senza dubbio soddisfatta, visto l'elevato numero di presenze negli esercizi commerciali e di transazioni effettuate. Grande entusiasmo, dunque, per oltre il 90 per cento dei nostri associati”. È positivo il bilancio del primo giorno di saldi stilato dal presidente della Confcommercio di Roma e del Lazio, Cesare Pambianchi. “Senza dubbio - spiega Pambianchi - i commercianti piu' soddisfatti sono quelli del Tridente, letteralmente preso d'assalto dai consumatori, ma anche nelle altre zone di Roma stiamo registrando una buona affluenza. I saldi, quando si manifestano con performance positive come questa, costituiscono un momento economicamente molto importante, ma anche un fattore di attrazione, anche turistica, per l'intera città. Si pensi a quello che sta succedendo in questi giorni a Berlino, Parigi o Barcellona. I commercianti romani, visti i risultati ottenuti, in questo caso hanno lavorato davvero bene, con riduzioni fino al 70 per cento''. A trarre un notevole vantaggio dalla decisione di scegliere una data unica di apertura sono stati soprattutto i confesercenti delle regioni del Centro Italia, ma un trend positivo si è registrato in tutto il Paese. ''Anche se è ancora presto per dare un giudizio esaustivo delle dinamiche di vendita - conclude Pambianchi - il clima che abbiamo registrato in questa prima giornata ci fa ben sperare che il flusso delle transazioni continuerà a mantenersi su ottimi livelli per tutto l'intero primo week-end di saldi''.
 
(spk) 7 gen 2011 13:16

POL - Pd, Anche Fassino si schiera con Parisi: Non tocchiamo le primarie

Pd, Anche Fassino si schiera con Parisi: Non tocchiamo le primarie
Roma, 5 gen (Il Velino) - Parisi, Fassino e i veltroniani convergono - insieme ai settori vendoliani delle opposizioni - in difesa delle primarie. Secondo quando rivelato dal Corriere della Sera, la segreteria Bersani sta lavorando a un progetto di riforma delle primarie (fortemente sostenute da Walter Veltroni ai tempi del suo mandato da segretario democrat) con l’introduzione di norme che evitino ulteriori vittorie dei candidati vicini a Nichi Vendola. Il primo paletto che la maggioranza del partito vorrebbe porre è la presentazione di un candidato unico del Pd in caso di primarie di coalizione. Il secondo paletto è l’introduzione di un meccanismo che permetta agli iscritti di scegliere, caso per caso, se indire o meno le primarie e quindi allargare la partecipazione al voto anche ai semplici elettori. Un’eventuale decisione in merito spetterebbe comunque all’assemblea nazionale dei delegati. Secondo Arturo Parisi, intervistato da Repubblica, “abbandonare le primarie significa riconoscere il fallimento del Partito democratico”. “Quelle che fanno male al Pd – spiega l’ex ministro - sono le primarie finte. O le primarie sono vere, cioè aperte e trasparenti, o illudersi di poter continuare con primarie finte, pensate come un plebiscito attorno al candidato che il gruppo dirigente del partito ha predestinato alla vittoria, fa male a noi e fa male alla democrazia. È per questo che le primarie restano un punto di riferimento”. A pensarla come Parisi è Piero Fassino, che, intervistato da Youdem, non valuta positivamente la strategia di “mettere in discussione le primarie quando invece dovremmo trasmettere entusiasmo nei nostri elettori perché si rechino lì”, riferendosi così alle imminenti consultazioni che si svolgeranno a breve a Bologna, Napoli e Torino (dove egli è candidato). “Penso sia più opportuno archiviare questo dibattito anche perché le primarie le abbiamo pensate per ridurre le distanze tra la politica e i cittadini. A chi propone di superare le primarie – conclude Fassino - chiedo: per sostituirle con che cosa?”. Ancora più critico verso la riforma bersaniana è l’editoriale di oggi del quotidiano Europa. Il problema, secondo quanto scrive Europa, risiede nel fatto che, al momento, c’è la necessità all’interno del Pd di eliminare le uniche primarie utili, ossia quelle per l’individuazione del candidato premier. “Il Pd è un partito in ritirata (strategica, si dice) che ha riabilitato la politica delle alleanze - si legge nell’articolo - e che deve concedere agli alleati molto senza però correre il rischio di farsi smentire dai propri elettori, come avverrebbe non solo con Casini leader ma con chiunque non incarnasse una certa idea pura dell’essere di sinistra e contro Berlusconi. “Tutte le obiezioni – attacca il quotidiano ex Margherita - che si avanzano contro questo strumento non esistevano o non avevano spazio nelle fasi di espansione del centrosinistra (con Prodi nel 2005, le uniche primarie per un premier) o del Pd (con Veltroni nel 2007)”. Il problema di fondo risiede nel rapporto tra la classe dirigente del partito e la sua base: “La diffidenza che nel Pd si nutre verso lo strumento nasce dall’esigenza di difendersi dal proprio elettorato, nella consapevolezza di non essere in grado di spiegargli né di fargli accettare (se non forse nel momento estremo del duello con Berlusconi) le scelte che si ritengono giuste”. Tesi quest’ultima abbracciata anche dal vendoliano Gennaro Migliore, secondo il quale “il Pd non ha paura delle primarie ma del suo elettorato visto che la maggioranza di chi vota Pd aspetta il governatore pugliese”.
In difesa delle primarie si schiera anche l’ulivista Sandro Gozi, secondo cui “abbandonare le primarie significa snaturare il nostro partito. Non si deve snaturare il partito per rincorrere Casini, che sembra sempre più intenzionato a dare un appoggio a questa maggioranza”. Gozi, allontana così dallo scenario politico qualsiasi ipotesi di governi tecnici a guida Tremonti, che “avrebbe forse il solo voto dell'attuale classe dirigente del Pd, la nostra gente, la nostra base sarebbe giustamente altrove a fare opposizione". Per Gozi "lo strumento delle primarie non è sbagliato, sono sbagliati i 'candidati ufficiali del Pd'. Puglia e Firenze insegnano: hanno vinto i candidati che meglio hanno saputo interpretare la sfida di un centrosinistra innovatore e hanno dato senso ad un momento di grande competizione democratica come quello delle primarie”. Il “rottamatore” Giuseppe Civati, consigliere regionale lombardo, dalle pagine del suo blog lancia un appello in favore delle primarie promuovendo “un incontro dedicato ad un Pd restituito ai suoi elettori, quelli che in questi giorni si sono detti molto preoccupati e non sempre si sono sentiti nelle condizioni di comprendere le scelte dei vertici nazionali”. L’evento si terrà il 12 gennaio, il giorno prima della direzione nazionale del Pd. Una giornata chiave per l’avvio del 2011 tra i democrat. Altro appuntamento fondamentale sarà poi, il 22 gennaio, il “Lingotto due” promosso da Veltroni. Con l’appuntamento veltroniano di Torino, il tema delle primarie, certamente al centro anche della discussione del 13 gennaio, potrebbe essere potentemente rilanciato.
 
(spk) 5 gen 2011 18:20

POL - Pd, vendoliani e veltroniani contro la riforma delle primarie

Pd, vendoliani e veltroniani contro la riforma delle primarie
Roma, 5 gen (Il Velino) - Parisi, vendoliani e veltroniani si ritrovano insieme in difesa delle primarie. Secondo quando rivelato dal Corriere della Sera, infatti, i bersaniani stanno lavorando su come riformare le primarie (ideate e fortemente sostenute dai veltroniani) con l’introduzione di norme che evitino ulteriori vittorie dei candidati vendoliani. Il primo paletto che la maggioranza del partito vorrebbe porre è la presentazione di un candidato unico del Pd in caso di primarie di coalizione. Il secondo paletto è l’introduzione di un meccanismo che permetta agli iscritti di scegliere, caso per caso, se indire o meno le primarie e quindi allargare la partecipazione al voto anche ai semplici elettori. Un’eventuale decisione in merito spetterebbe comunque all’assemblea nazionale dei delegati. Secondo Arturo Parisi, intervistato da Repubblica,“abbandonare le primarie significa riconoscere il fallimento del Partito democratico”. “Quelle che fanno male al Pd – spiega l’ex ministro - sono le primarie finte. O le primarie sono vere, cioè aperte e trasparenti, o illudersi di poter continuare con primarie finte, pensate come un plebiscito attorno al candidato che il gruppo dirigente del partito ha predestinato alla vittoria, fa male a noi e fa male alla democrazia. È per questo che le primarie restano un punto di riferimento”. Ancora più critico verso la riforma bersanianaè l’editoriale di oggi del quotidiano Europa. Il problema, secondo quanto scrive Europa, risiede nel fatto che, al momento, c’è la necessità all’interno del Pd di eliminare le uniche primarie utili, ossia quelle per l’individuazione del candidato premier.

“Il Pd è un partito in ritirata (strategica, si dice) che ha riabilitato la politica delle alleanze - si legge nell’articolo - e che deve concedere agli alleati molto senza però correre il rischio di farsi smentire dai propri elettori, come avverrebbe non solo con Casini leader ma con chiunque non incarnasse una certa idea pura dell’essere di sinistra e contro Berlusconi”. “Tutte le obiezioni – attacca il quotidiano degli ex popolari - che si avanzano contro questo strumento non esistevano o non avevano spazio nelle fasi di espansione del centrosinistra (con Prodi nel 2005, le uniche primarie per un premier) o del Pd (con Veltroni nel 2007)”. Il problema di fondo risiede nel rapporto tra la classe dirigente del partito e la sua base: “la diffidenza che nel Pd si nutre verso lo strumento nasce dall’esigenza di difendersi dal proprio elettorato, nella consapevolezza di non essere in grado di spiegargli né di fargli accettare (se non forse nel momento estremo del duello con Berlusconi) le scelte che si ritengono giuste”. Tesi quest’ultima abbracciata anche dal vendoliano Gennaro Migliore, secondo il quale “il Pd non ha paura delle primarie ma del suo elettorato visto che la maggioranza di chi vota Pd aspetta il governatore pugliese. Vendola è in vantaggio perché gli elettori del Pd lo aspettano - conclude Migliore -. Quindi il Pd non ha paura delle primarie ma del suo elettorato".
 
(spk) 5 gen 2011 13:06

POL - Fiat, incontro Fiom-Idv. Di Pietro: Il 28 saremo in piazza Ma il partito si spacca. Donadi: Non sposiamo acriticamente le tesi della Fiom

Fiat, incontro Fiom-Idv. Di Pietro: Il 28 saremo in piazza
Roma, 4 gen (Il Velino) - ''Abbiamo deciso di non mettere la testa sotto la sabbia e di reagire a quello che è un nuovo, ma vecchio, modello caro al regime passato; il padrone e gli schiavi. Non è una logica vetero-comunista ma piuttosto una logica libera che si ispira al rispetto della nostra Costituzione perché ci sono diritti che non possono essere barattati. Il mercato non può comprarsi le libertà fondamentali”. Antonio Di Pietro si schiera con la Fiom. Nel corso della conferenza stampa, tenuta al termine dell’incontro con il leader sindacale Maurizio Landini, il leader dell’Italia dei Valori ha annunciato la partecipazione del suo partito allo sciopero del 28 e “ci auguriamo che non sia solo lo sciopero della Fiom, ma di quella parte degli italiani che difendono la Costituzione”. Il leader dell’Idv ha preannunciato che da un lato cercherà di “convincere tutti gli alleati e in particolare il Pd a non accontentarsi nella vicenda Fiat di un tozzo di pane pur di continuare a mangiare”, dall’altro chiederà al governo di avviare un dialogo tra la Fiat e la Fiom. "Noi - ha aggiunto - insisteremo in Parlamento affinché la normativa sulla rappresentanza sindacale possa arrivare al più presto in Aula”. L'ex pm ha poi invitato la Confindustria ''ad uscire allo scoperto contro gli accordi separati perche' la dottrina Marchionne non deve diventare un'abitudine nel nostro Paese''. “Noi – ha concluso Di Pietro parlando a nome del suo partito - abbiamo depositato un disegno di legge sulla rappresentanza sindacale, fatto insieme alla Fiom, perché riteniamo che bisogna trovare un modo positivo per far decidere ai lavoratori cosa vogliono fare”.
 
Un punto quest’ultimo su cui ha molto insistito anche Maurizio Landini, segretario della Fiom, che, nel corso del suo intervento, ha dichiarato che il referendum indetto dalla Fiat a Mirafiori è illegittimo “perché si chiede al lavoratore di rinunciare ai suoi diritti e di rinunciare a dei diritti sanciti dalla Costituzione e perché dopo le affermazioni fatte ieri da Marchionne non siamo di fronte a un voto libero”. Landini considera l’accordo stipulato dalla Fiat come un ricatto: “Quando a un lavoratore gli si dice che se dice di sì può continuare a lavorare ma deve rinunciare ad esistere come lavoratore che ha diritti, se dice di no gli si chiude la fabbrica e c’è il licenziamento non mi pare che siamo di fronte ad uno strumento democratico”. Il segretario Fiom ha poi anticipato che “vista la gravità della situazione” “sono già in programma degli incontri con il Pd, con Sinistra e Libertà e con la Federazione della Sinistra perché noi vogliamo che ci sia un’informazione precisa”. “Naturalmente – ha spiegato Landini - c’è un’autonomia che va mantenuta, noi siamo un sindacato che sta cercando di fare al meglio il suo lavoro, le forze politiche nella loro autonomia possono esprimere i loro giudizi per come meglio affrontare questa situazione”. Infine il segretario della Fiom ha attaccato il governo: “siamo di fronte ad un attacco ai diritti e alla democrazia che non ha precedenti e pensiamo che il governo non stia facendo quello che deve fare. Dovrebbe essere in grado di avere una politica industriale, ma anche quella di tutelare le libertà ed i diritti”.
 
A mostrarsi fortemente contrario verso un’alleanza di ferro tra Idv e Fiom è Massimo Donadi, capogruppo dei dipietristi alla Camera, secondo cui il partito “non può sposare acriticamente le posizioni della Fiom”. “Il prossimo esecutivo – spiega Donadi - sarà l'occasione giusta per aprire un confronto sulla nostra posizione riguardo alla vicenda che ha contrapposto i vertici Fiat ed il sindacato dei metalmeccanici. Marchionne ha sbagliato, perché è indubbio che l'esclusione della Fiom dal tavolo delle trattative sia stata una forzatura grave ed inaccettabile. Ma sarebbe un errore anche ignorare la realta' odierna del mercato dell'auto e le difficolta' di sopravvivere di un'azienda come la Fiat, senza la disponibilità dei sindacati a rimettersi in discussione". Secondo Donadi, Marchionne va “sfidato non sul terreno di un accordo che, per quanto pesante, appare accettabile, ma su quello della volonta' della dirigenza di presentare un piano industriale e di investimenti capace di ridare all'azienda quella competitivita' che le manca sul piano industriale molto piu' che su quello dell'organizzazione del lavoro". Dalla parte della linea tracciata da Antonio Di Pietro si schiera invece Luigi de Magistris: "L'accordo separato su Mirafiori e Pomigliano testimonia quale sia la volonta' del governo, di Confindustria e della Fiat: aggredire il mondo del lavoro e i suoi diritti, silenziare il sindacato fedele alla sua missione originaria, fare carta straccia del contratto nazionale e travolgere la Costituzione. Dobbiamo sostenere la richiesta della Fiom di proclamare uno sciopero generale che mandi un segnale chiaro di opposizione a quanti cercano di riportare indietro le lancette della storia, del diritto del lavoro, della democrazia".
 
(spk) 4 gen 2011 19:03

POL - Fli, Viespoli: L'antiberlusconismo ci ha danneggiato

Roma, 3 gen (Il Velino) - “Ad un certo punto siamo apparsi ringhiosamente antiberlusconiani, laicisti con ammiccamenti ribaltonisti”. Così Pasquale Viespoli, capogruppo del Fli in Senato, intervistato dal Corriere della Sera, ha fatto autocritica sulla linea seguita finora dal partito del presidente della Camera. “Non faccio personalismi – precisa, riferendosi a Bocchino – però è vero che una certa linea aggressiva, non dialettica ma antagonista, non ha determinato un esito positivo della vicenda politica. La linea della contrapposizione – spiega Viespoli -, fino alla rottura, non è passata sul piano parlamentare, ma soprattutto non è passata sul piano dell’opinione pubblica. Siamo sembrati antiberlusconiani, cosa che non siamo”. Il capogruppo finiano ha poi spiegato l’atteggiamento del Fli sulla vicenda della riforma dell'università: “abbiamo dato il nostro contributo all’approvazione della riforma, considerandola un punto di partenza e non di arrivo e indicando un vero e proprio programma di politica culturale”. Per quanto riguarda il nascente terzo polo: “Alla ripresa dei lavori ci sarà un coordinamento dei parlamentari che fanno capo a questa aggregazione. Non parlerei di terzo polo, che suona male: anche perché mancano gli altri due”. Il Fli, che nascerà il 14 con un’assemblea costituente e non con il solito congresso di partito, sarà “un soggetto politico, una forza aperta e lontana dalle vecchie forme organizzative”, ha concluso Viespoli.
 
(spk) 3 gen 2011 10:24

POL - Fiat, il Pd si divide sullo sciopero indetto dalla Fiom

Fiat, il Pd si divide sullo sciopero indetto dalla Fiom
Roma, 29 dic (Il Velino) - Inizia dalla lettera aperta spedita ai leader della sinistra italiana da alcuni operai Fiat di Pomigliano d'Arco favorevoli all'accordo con Marchionne e pubblicata dal Giornale, la "giornataccia" del segretario del Pd Pierluigi Bersani su cui, già alle prese con le divisioni interne sulla linea da adottare in fatto di alleanze, piomba la tegola della posizione da assumere sul patto non sottoscritto dalla Fiom, che ha già chiamato allo sciopero generale per il 28 gennaio. Come spesso accade, infatti, sui temi "sensibili" le truppe democratiche sembrano andare in ordine sparso, e la vicenda Pomigliano non fa certo eccezione. A dare il 'la' alle polemiche del giorno è l'ex-segretario Ds Piero Fassino, candidato alla poltrona di sindaco di Torino, che si schiera subito a favore dell'accordo e quindi contro lo sciopero della Fiom: "Se fossi un lavoratore della Fiat - dice Fassino - voterei sì all'accordo, ma l'azienda deve avvertire la responsabilità di compiere atti per favorire un clima più disteso''. Sulla stessa linea si posiziona Massimo D’Alema considera: “l'accordo per Mirafiori tra la Fiat e Cisl e Uil "che verrà sottoposto al giudizio dei lavoratori, nella sua parte produttiva è accettabile". "La parte inaccettabile - aggiunge D'Alema ai microfoni del Tg3 - è la pretesa politica della Fiat di escludere chi non condivide l'accordo dalla gestione dei rapporti sindacali. Io spero che i lavoratori votino a favore ma vorrei dire alla Fiat e all'amministratore delegato che escludere chi dissente non è una buona regola. Una grande fabbrica non si dirige con il comando ma con il consenso".

Ma D’Alema non ha rinunciato ad una stoccata nei confronti del leader della Fiom: “Neanche Landini lavora alla catena di montaggio..." ha dichiarato riferendosi alle parole di Maurizio Landini che ha invitato i dirigenti del Pd a tornare in fabbrica. Equilibri fragili quelli all’interno del Pd. Le parole di Fassino non consentono di tenere il partito unito, come si evince dalle parole dell'ex-sindaco di Bologna, ora eurodeputato Pd Sergio Cofferati, favorevole allo sciopero e fortemente contrario all'accordo: "Quando parlo di sciopero generale - ha affermato Cofferati - non penso solo alla vicenda Fiat. Io credo che lo sciopero generale vada fatto a prescindere dall'accordo separato". Per Cofferati l'accordo segna "una drammatica regressione fondata su due elementi strettamente connessi: il peggioramento, drammatico, delle condizioni di lavoro e la drastica riduzione dei diritti sindacali''. Sulle posizioni di Cofferati, si colloca la parte del vecchio "Correntone" Ds che è rimasta dentro il partito (tra gli altri il senatore Vincenzo Vita), ma è dal fronte ex-popolare e moderato del Pd che arrivano i pronunciamenti più netti e "aggressivi" a favorte dell'accordo e contro ogni iniziativa critica su quest'ultimo. Enzo Bianco, senatore, osserva che "l'accordo di Mirafiori e' qualcosa che va ben oltre un'intesa contrattuale. Qui c'e' di mezzo la partita sulla competitivita' del sistema Italia. Senza una radicale innovazione del sistema produttivo e delle relazioni sindacali - ha aggiunto - il nostro Paese e' condannato a un rapido declino. Le linee di fondo del patto sottoscritto a Torino sembrano andare nella giusta direzione; l'auspicio dei Liberal e' che questo avvenga, pero', non solo seguendo le esigenze di mercato ma ricercando un'ampia intesa, senza che nessuno ne venga emarginato". Dal fronte ex-popolare, Giorgio Merlo polemizza contro il collega di partito Della Seta, che aveva in precedenza attaccato Marchionne: "Il Pd - dice Merlo - al di là di quel che dice il senatore Della Seta, non ha 'sposato' Marchionne. Semplicemente, sarebbe curioso che un partito riformista come il Pd sposasse le posizioni di coloro che dicono un no pregiudiziale a qualsiasi accordo sindacale, che sono poco sensibili agli investimenti della Fiat in Italia e che, soprattutto, sono sufficientemente estranei a qualsiasi logica di incremento della produzione industriale. Le posizioni massimaliste, estremiste e conservatrici - ha proseguito - le lasciamo volentieri a Vendola, ai vari Ferrero e a tutti coloro che confondono ancora l'approccio ideologico con la prospettiva di una grande azienda e con il futuro occupazionale di migliaia di lavoratori". Sulla stessa linea è il deputato Sergio D’Antoni, ex segretario della Cisl, che accoglie l’accordo su Pomigliano “ con soddisfazione e ottimismo perché risponde a due assolute priorità: la salvaguardia dei livelli occupazionali e l'aumento dei salari dei lavoratori”. “Quello di oggi – spiega D’Antoni - rappresenta un primo passo lungo una strada che deve portare a una reale partecipazione del mondo del lavoro nei processi decisionali d'impresa. Ora occorre avere il coraggio di percorrere questo sentiero sino in fondo. Lo impone la responsabilità dalla maggioranza dei lavoratori che ha detto sì all'accordo”. Secondo D’Antoni “ rifiutare il confronto come fa Fiom, arroccarsi sulla difesa dell'esistente, riconoscere a stento le ragioni della maggioranza dei lavoratori, significa defilarsi dalle proprie responsabilità, decidere di non decidere. Escludere una parte più o meno grande del mondo del lavoro dal partecipare a una partita da cui dipende il futuro del paese”.

Dalla parte di Piero Fassino si schiera anche Luigi Bobba, vicepresidente della commissione Lavoro: “'se fossi un lavoratore della Fiat, voterei si' al referendum'; questo perche' se da un lato l'accordo produce una revisione profonda dei rapporti sindacali, anche con il superamento del contratto nazionale, dall'altro impegna la Fiat a realizzare investimenti importanti a Mirafiori”. "Come tutti gli accordi sindacali - prosegue Bobba - prevede vincoli ed utilita' tra le parti: ma questa e' la logica contrattuale, a cui un sindacato non puo' mai sottrarsi. Ne' tantomeno si puo' - come ha fatto Giorgio Cremaschi riesumando un settarismo di altri tempi - affermare che Cisl e Uil sono la vergogna del sindacalismo italiano. Per cui chi firma accordi diventa automaticamente 'un servo del padrone'". Secondo il senatore “ecodem” Francesco Ferrante, invece, ci si dovrebbe interrogare di più sul futuro del mercato dell’auto che presto verrà soppiantato dalla green economy, ma al momento “c'e' da respingere il tentativo da parte della Fiat di isolamento di una parte importante del sindacato, non accettare la riduzione di diritti''. Gavino Angius, invece, non risparmia critiche a Marchionne e invita gli operai a votare no: “Ci sono un milione di ragioni per votare no. Ma ne bastano due: non accettare un ricatto e difendere la democrazia nelle fabbriche come in tutti i luoghi di lavoro. Quella che prende piede in Italia e' una strana concezione delle relazioni industriali che prevede di fatto lo smantellamento dello Statuto dei lavoratori: una democrazia dell' obbedienza per cui si ha la cittadinanza in fabbrica e altrove solo se si dice si'. Chi dissente fuori, non esiste. Obbedienza, questo sarebbe il nuovo principio della democrazia”. Secco e duro anche il commento del vendoliano Gennaro Migliore: “a Mirafiori non e' stato siglato un accordo ma un epigrafe del diritto del lavoro. E' incredibile - insiste Migliore - che il Partito Democratico rimanga schiacciato su posizioni che in Europa non sosterrebbe mai nessun partito vagamente di centrosinistra. Marchionne sarebbe stato messo alla porta persino dalla cancelliera Merkel. Vogliamo semplicemente che i lavoratori italiani siano rispettati, perche' oggi purtroppo non e' cosi'''. Il documento stilato da Stefano Fassina, responsabile lavoro del Pd, da Gianfranco Morgando, segretario piemontese e dalla segretaria torinese Paola Bragantini risulta ambiguo e cerca di non scontentare le varie correnti del partito. “A Torino come a Pomigliano - si osserva nella nota - sono in programma investimenti che ''oltre alle migliaia di lavoratori e lavoratrici delle aziende Fiat coinvolgono filiere di centinaia di imprese e decine di migliaia di lavoratori dell'indotto''. Ma ''sul piano delle regole della rappresentanza e della democrazia - e' scritto - si compiono strappi ingiustificabili mentre non si fa alcun passo avanti per la partecipazione dei lavoratori nell'impresa''.
 
(spk/baz) 29 dic 2010 20:09

POL - Terzopolisti certi di non implodere, Berlusconi: Non hanno futuro Fini, Casini, Rutelli, La Malfa, Pistorio, Guzzanti si danno appuntamento a gennaio per organizzare le file

Terzopolisti certi di non implodere, Berlusconi: Non hanno futuro
Roma, 16 dic (Il Velino) - Il battesimo del terzo Polo promosso da Gianfranco Fini, Pier Ferdinando Casini, Francesco Rutelli con Mpa, liberali e liberaldemocratici all'indomani della bocciatura della mozione di sfiducia al governo non sembra preoccupare il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Le ricostruzioni dei giornali sono tutte concordi sul giudizio del premier sui ‘terzopolisti’. Durante il vertice di ieri sera della maggioranza a Palazzo Grazioli, il Cavaliere è tornato a parlare del neonato "Polo della nazione" dicendo che “non ha possibilità di futuro” e che soprattutto non esiste nell'elettorato. E che l'alleanza tra  Casini e  Fini,  andrà a danno del presidente della Camera, che sarà destinato a essere un co-protagonista e lentamente a sparire. Ieri Fini e Casini, all’Hotel Minerva, hanno cercato di serrare i ranghi. Come ha sintetizzato il presidente Udc Rocco Buttiglione citando la frase di Benjamin Franklin al Congresso continentale ‘O stiamo tutti insieme o ci impiccano uno per uno’. La convinzione espressa da Berlusconi che il sostegno al governo crescerà perché altri parlamentari si aggiungeranno allo schieramento che ha votato la fiducia, si fa sempre più reale. E a farne le spese sarà in particolare la formazione di Futuro e Libertà se è vero, come afferma l’ex colomba Fli Silvano Moffa, che molti altri in Fli la pensano come lui sul fatto che sia necessario creare un'area di responsabilita' politica di sostegno al governo. Le attenzioni di Berlusconi puntano poi sull’area cattolica. L'idea che si fa strada è la possibilità che oltre gruppo di 'responsabili' eletti con l'opposizione, ma ora entrati in maggioranza, possa nascere un gruppo 'pro-life' inl Parlamento che faccia, attorno a Moffa, da catalizzatore di quei deputati cattolici che vogliano fare del sì alle leggi a difesa della vita, dal concepimento alla morte naturale, la cifra della loro azione politica. Per questo il leader Udc Casini ha impresso il suo marchio all’operazione che ha portato ieri alla nascita ufficialmente del “Polo della nazione” (anche se il nome è ancora da stabilire in modo definitivo): “Basta con le uscite stonate e le provocazioni – avrebbe detto Casini ai finiani - noi saremo una forza responsabile che sceglie come muoversi su ogni provvedimento”.
Concetti messi nero su bianco nel comunicato congiunto: “Per noi - si legge nella nota dei terzopolisti - è necessario operare per il bene dell’Italia e per una autentica coesione nazionale. Si è deciso di avanzare, con questo spirito, proposte per il futuro del Paese e di esercitare un ruolo di opposizione responsabile, pronta a confrontarsi su eventuali provvedimenti che vadano incontro agli interessi generali degli italiani, a partire da quelli economico-sociali e dalle grandi riforme che servono al Paese. Entro il mese di gennaio i parlamentari si riuniranno in assemblea per individuare le modalità organizzative della loro azione e per presentare al Parlamento e al Paese le priorità programmatiche su cui si auspica un positivo confronto con il governo e con le altre forze di opposizione responsabile”.
“Chi pensava che dopo la compravendita dei giorni scorsi il terzo Polo si sarebbe disgregato dovra' rendersi conto che ''noi siamo la speranza, ed e' il destino di Berlusconi ad essere precario''. Ha detto il leader dell'Api, Francesco Rutelli, arrivando a Bruxelles ad una riunione dell'Alde, i liberali europei. "C'e' grande spazio nel Paese per una terza forza alternativa a questo sistema politico – ha aggiunto Lorenzo Cesa -. Un'area della responsabilita', della concretezza e del buonsenso, alternativa al Pdl e anche alla sinistra, perche' con Di Pietro che incalza e Sel in crescita, il Pd sta spostando l'asse della sua politica a sinistra".  Ma per il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto: "Al di la' del lancio giornalistico effettuato con grande perizia e cura - dice  -, rimane il fatto che il Polo della Nazione e' una Babele di voci. Il cosiddetto Terzo polo infatti e' un crogiuolo di contraddizioni: esso mette assieme gli ultra radicali con gli iper-moderati, gli ultra laicisti con gli integralisti, i laici e i cattolici, gli amici di Di Pietro e i garantisti: insomma, una somma eterogenea di posizioni opposte destinata ad implodere da sola". “Salutiamo con favore che Casini ha imposto un abbassamento dei toni”. Il Guardasigilli, Angelino Alfano, apprezza il ruolo del leader Udc nel Polo della Nazione che “ha imposto un abbassamento dei toni” a differenza di “Fli che arriva al terzo polo con un antiberlusconismo violento. Casini -spiega Alfano - non ha questo tono”. Per il ministro degli Esteri Franco Frattini il terzo polo sarà positivo se servirà a contenere e limitare “l’estremismo anti-berlusconiano”. “A mio avviso - ha detto Frattini - è un’iniziativa che può avere due direzioni. La prima quella di contenere e limitare gli estremismi antiberlusconiani, rivolgendosi anzi in modo dialogante alla maggioranza che esce riconfermata dal voto di fiducia”. In alternativa, “la seconda direzione sarebbe quella di una coalizione di coloro che volevano mandare a casa Berlusconi e non ci sono riusciti. Io spero che prevalga la prima opzione”. Sul neonato nuovo polo è secco il commento del direttore di 'Avvenire' Marco Tarquinio: "Dopo la stagione dei due pasticci  - scrive Tarquini sul quotidiano della Cei - non c'e' bisogno di un terzo pasticcio, ma di un 'di più', di un'azione convincente che indichi una volonta' e una prospettiva diverse".
 
(chi/spk) 16 dic 2010 13:07