Roma, 29 dic (Il Velino) - Inizia dalla lettera aperta spedita ai leader della sinistra italiana da alcuni operai Fiat di Pomigliano d'Arco favorevoli all'accordo con Marchionne e pubblicata dal Giornale, la "giornataccia" del segretario del Pd Pierluigi Bersani su cui, già alle prese con le divisioni interne sulla linea da adottare in fatto di alleanze, piomba la tegola della posizione da assumere sul patto non sottoscritto dalla Fiom, che ha già chiamato allo sciopero generale per il 28 gennaio. Come spesso accade, infatti, sui temi "sensibili" le truppe democratiche sembrano andare in ordine sparso, e la vicenda Pomigliano non fa certo eccezione. A dare il 'la' alle polemiche del giorno è l'ex-segretario Ds Piero Fassino, candidato alla poltrona di sindaco di Torino, che si schiera subito a favore dell'accordo e quindi contro lo sciopero della Fiom: "Se fossi un lavoratore della Fiat - dice Fassino - voterei sì all'accordo, ma l'azienda deve avvertire la responsabilità di compiere atti per favorire un clima più disteso''. Sulla stessa linea si posiziona Massimo D’Alema considera: “l'accordo per Mirafiori tra la Fiat e Cisl e Uil "che verrà sottoposto al giudizio dei lavoratori, nella sua parte produttiva è accettabile". "La parte inaccettabile - aggiunge D'Alema ai microfoni del Tg3 - è la pretesa politica della Fiat di escludere chi non condivide l'accordo dalla gestione dei rapporti sindacali. Io spero che i lavoratori votino a favore ma vorrei dire alla Fiat e all'amministratore delegato che escludere chi dissente non è una buona regola. Una grande fabbrica non si dirige con il comando ma con il consenso".
Ma D’Alema non ha rinunciato ad una stoccata nei confronti del leader della Fiom: “Neanche Landini lavora alla catena di montaggio..." ha dichiarato riferendosi alle parole di Maurizio Landini che ha invitato i dirigenti del Pd a tornare in fabbrica. Equilibri fragili quelli all’interno del Pd. Le parole di Fassino non consentono di tenere il partito unito, come si evince dalle parole dell'ex-sindaco di Bologna, ora eurodeputato Pd Sergio Cofferati, favorevole allo sciopero e fortemente contrario all'accordo: "Quando parlo di sciopero generale - ha affermato Cofferati - non penso solo alla vicenda Fiat. Io credo che lo sciopero generale vada fatto a prescindere dall'accordo separato". Per Cofferati l'accordo segna "una drammatica regressione fondata su due elementi strettamente connessi: il peggioramento, drammatico, delle condizioni di lavoro e la drastica riduzione dei diritti sindacali''. Sulle posizioni di Cofferati, si colloca la parte del vecchio "Correntone" Ds che è rimasta dentro il partito (tra gli altri il senatore Vincenzo Vita), ma è dal fronte ex-popolare e moderato del Pd che arrivano i pronunciamenti più netti e "aggressivi" a favorte dell'accordo e contro ogni iniziativa critica su quest'ultimo. Enzo Bianco, senatore, osserva che "l'accordo di Mirafiori e' qualcosa che va ben oltre un'intesa contrattuale. Qui c'e' di mezzo la partita sulla competitivita' del sistema Italia. Senza una radicale innovazione del sistema produttivo e delle relazioni sindacali - ha aggiunto - il nostro Paese e' condannato a un rapido declino. Le linee di fondo del patto sottoscritto a Torino sembrano andare nella giusta direzione; l'auspicio dei Liberal e' che questo avvenga, pero', non solo seguendo le esigenze di mercato ma ricercando un'ampia intesa, senza che nessuno ne venga emarginato". Dal fronte ex-popolare, Giorgio Merlo polemizza contro il collega di partito Della Seta, che aveva in precedenza attaccato Marchionne: "Il Pd - dice Merlo - al di là di quel che dice il senatore Della Seta, non ha 'sposato' Marchionne. Semplicemente, sarebbe curioso che un partito riformista come il Pd sposasse le posizioni di coloro che dicono un no pregiudiziale a qualsiasi accordo sindacale, che sono poco sensibili agli investimenti della Fiat in Italia e che, soprattutto, sono sufficientemente estranei a qualsiasi logica di incremento della produzione industriale. Le posizioni massimaliste, estremiste e conservatrici - ha proseguito - le lasciamo volentieri a Vendola, ai vari Ferrero e a tutti coloro che confondono ancora l'approccio ideologico con la prospettiva di una grande azienda e con il futuro occupazionale di migliaia di lavoratori". Sulla stessa linea è il deputato Sergio D’Antoni, ex segretario della Cisl, che accoglie l’accordo su Pomigliano “ con soddisfazione e ottimismo perché risponde a due assolute priorità: la salvaguardia dei livelli occupazionali e l'aumento dei salari dei lavoratori”. “Quello di oggi – spiega D’Antoni - rappresenta un primo passo lungo una strada che deve portare a una reale partecipazione del mondo del lavoro nei processi decisionali d'impresa. Ora occorre avere il coraggio di percorrere questo sentiero sino in fondo. Lo impone la responsabilità dalla maggioranza dei lavoratori che ha detto sì all'accordo”. Secondo D’Antoni “ rifiutare il confronto come fa Fiom, arroccarsi sulla difesa dell'esistente, riconoscere a stento le ragioni della maggioranza dei lavoratori, significa defilarsi dalle proprie responsabilità, decidere di non decidere. Escludere una parte più o meno grande del mondo del lavoro dal partecipare a una partita da cui dipende il futuro del paese”.
Dalla parte di Piero Fassino si schiera anche Luigi Bobba, vicepresidente della commissione Lavoro: “'se fossi un lavoratore della Fiat, voterei si' al referendum'; questo perche' se da un lato l'accordo produce una revisione profonda dei rapporti sindacali, anche con il superamento del contratto nazionale, dall'altro impegna la Fiat a realizzare investimenti importanti a Mirafiori”. "Come tutti gli accordi sindacali - prosegue Bobba - prevede vincoli ed utilita' tra le parti: ma questa e' la logica contrattuale, a cui un sindacato non puo' mai sottrarsi. Ne' tantomeno si puo' - come ha fatto Giorgio Cremaschi riesumando un settarismo di altri tempi - affermare che Cisl e Uil sono la vergogna del sindacalismo italiano. Per cui chi firma accordi diventa automaticamente 'un servo del padrone'". Secondo il senatore “ecodem” Francesco Ferrante, invece, ci si dovrebbe interrogare di più sul futuro del mercato dell’auto che presto verrà soppiantato dalla green economy, ma al momento “c'e' da respingere il tentativo da parte della Fiat di isolamento di una parte importante del sindacato, non accettare la riduzione di diritti''. Gavino Angius, invece, non risparmia critiche a Marchionne e invita gli operai a votare no: “Ci sono un milione di ragioni per votare no. Ma ne bastano due: non accettare un ricatto e difendere la democrazia nelle fabbriche come in tutti i luoghi di lavoro. Quella che prende piede in Italia e' una strana concezione delle relazioni industriali che prevede di fatto lo smantellamento dello Statuto dei lavoratori: una democrazia dell' obbedienza per cui si ha la cittadinanza in fabbrica e altrove solo se si dice si'. Chi dissente fuori, non esiste. Obbedienza, questo sarebbe il nuovo principio della democrazia”. Secco e duro anche il commento del vendoliano Gennaro Migliore: “a Mirafiori non e' stato siglato un accordo ma un epigrafe del diritto del lavoro. E' incredibile - insiste Migliore - che il Partito Democratico rimanga schiacciato su posizioni che in Europa non sosterrebbe mai nessun partito vagamente di centrosinistra. Marchionne sarebbe stato messo alla porta persino dalla cancelliera Merkel. Vogliamo semplicemente che i lavoratori italiani siano rispettati, perche' oggi purtroppo non e' cosi'''. Il documento stilato da Stefano Fassina, responsabile lavoro del Pd, da Gianfranco Morgando, segretario piemontese e dalla segretaria torinese Paola Bragantini risulta ambiguo e cerca di non scontentare le varie correnti del partito. “A Torino come a Pomigliano - si osserva nella nota - sono in programma investimenti che ''oltre alle migliaia di lavoratori e lavoratrici delle aziende Fiat coinvolgono filiere di centinaia di imprese e decine di migliaia di lavoratori dell'indotto''. Ma ''sul piano delle regole della rappresentanza e della democrazia - e' scritto - si compiono strappi ingiustificabili mentre non si fa alcun passo avanti per la partecipazione dei lavoratori nell'impresa''.
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