Il tesseramento del Pd, che si è chiuso in queste ore, non ha superato quota 600 mila iscritti, meno della somma degli iscritti della Margherita e dei Ds. Quali sono le cause di questa flessione che sembrerebbe segnalare anche un mancato radicamento territoriale del nuovo partito?
Esiste indubbiamente un problema di radicamento. Non è una questione di tessere. Quelle sono uno strumento e il calo delle iscrizioni non fa che riflettere il problema. Il vero nodo da sciogliere riguarda, piuttosto, la nostra capacità di stare sui territori, di mettere l’orecchio a terra e ascoltare quello che ci chiedono, di stimolare la partecipazione su temi concreti che hanno a che fare con la vita reale delle persone. Penso alla crisi, alla fine imminente della cassa integrazione, alle difficoltà di migliaia di piccole e medie imprese. Questa capacità di relazione con gli elettori è del tutto venuta meno. E sul punto è necessario riflettere con molta serietà nel dibattito congressuale che abbiamo davanti.
In che modo lei e Bersani pensate di invertire la rotta negativa del Pd?
Dobbiamo agire sui due aspetti che proprio non hanno funzionato nei primi 20 mesi di vita del Pd. Primo, come dicevo, il radicamento. Un partito che ha l’ambizione a governare deve avere una struttura solida e, al contempo, seguire quella che mi piace definire la politica dello zaino leggero. Fa scelte ambiziose solo chi porta con sé, sulle spalle e nella testa, uno zaino leggero: all’interno niente orpelli, nessuna paura di cadere, solo tante idee per affermare che conta davvero. Abbiamo poi bisogno di amministratori competenti che parlino in inglese e in dialetto, che stiano sui territori e allo stesso tempo li guidino nella competizione mondiale. Di certo, quello che non ci serve è un modello di partito evanescente, incapace di produrre contenuti e di dare risposte concrete alle persone. Ha ragione Bersani quando dice che il partito non è un fine, ma un mezzo: il mezzo per cambiare questo Paese. Il secondo aspetto la vocazione maggioritaria. Essa ha un senso solo se si è più vicini al 40 che al 30 per cento dei consensi. Con il 26 per cento delle ultime elezioni dobbiamo fare di necessità virtù e porci alla guida di una coalizione per tornare al governo del Paese. Per questo indispensabile costruire un sistema di alleanze il più possibile coerente e basato sulle idee e sui programmi.
Bersani, nella sua corsa alla segreteria in tandem con lei, è appoggiato dalla SinistraPd di Livia Turco, dai Democratici davvero di Rosy Bindi e da personalità quali Follini e Ciampi. Quale identità dovrebbe avere secondo lei il Pd?
La nostra bussola è la promozione dell’interesse generale. Da qui nasce l’identità vera del Partito democratico, alla base peraltro della straordinaria intuizione dell’Ulivo: dai valori della Costituzione, dal rispetto assoluto delle istituzioni, dalla promozione della dignità del lavoro. Ho detto qualche giorno fa che il Pd deve essere prima di tutto il partito del presidente Napolitano. Mi riferivo, con questo, proprio a un approccio fermo nei confronti dell’interesse generale e delle istituzioni. Dobbiamo essere rigorosi sul punto e, ad esempio, affermare che trovare un’intesa con partiti anti-Napolitano è impossibile finché essi non cambiano linea. Dal Pd mi aspetto poi che sia autorevole nella proposizione delle idee e nei comportamenti. Che sia ambizioso, come detto, con l’obiettivo prioritario di guidare il Paese e i territori. E che sia, infine, autonomo da tutti i condizionamenti, dalle rappresentanze d’interessi, dalle associazioni di categoria, dalle organizzazioni sindacali.
L’alleanza con l’Udc è davvero indispensabile e compatibile con il progetto politico del Pd per come l’avete concepito lei e Bersani?
A mio avviso lo è. E i risultati delle recenti amministrative lo testimoniano.
Perché vi siete opposti alla candidatura di Beppe Grillo a segretario del Pd? Davvero il problema è legato a un codicillo dello statuto? E comunque: come replica a chi sostiene che Grillo interpreta un umore diffuso in una parte non piccola dell’elettorato del Pd e che proprio per questo motivo sarebbe stato corretto consentirgli di misurarsi nella corsa alla segreteria?
Il problema non è un codicillo dello Statuto. Si tratta di una questione più seria che riguarda il rispetto nei confronti del Pd e dei milioni di elettori e di militanti che lo sostengono. Per due anni Grillo ha combattuto, con le armi legittime della libertà d’espressione, il progetto del Partito democratico. Non per cambiarlo, ma per opporsi ad esso. Oggi noi siamo altrettanto liberi di considerare condivisibile o meno il progetto di Grillo. E d’altronde Grillo probabilmente il più feroce oppositore della linea istituzionale di Napolitano. Questo rende il suo profilo incompatibile con il nostro.
tratto da www.ilvelino.it
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