di Francesco Curridori | |
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lunedì 28 marzo 2011 | |
Mentre in Libia infuriano i venti di guerra il centrosinistra italiano si mostra inspiegabilmente unito in favore dell'intervento militare contro Gheddafi. Poco tempo fa fonti vicine ai rottamatori di Matteo Renzi mi hanno confidato che la strategia di Bersani è di «spargere cenere sul terreno per spegnere il fuoco, ma sotto sotto il partito brucia». E infatti davanti ad un conflitto storicamente è la sinistra ad avere dei dubbi sull'opportunità o meno dell'intervento militare. In questo caso no, anche le bombe sono ammesse pur di fare un dispetto al premier Berlusconi, che con Gheddafi ha stipulato nel 2008 il trattato di amicizia italo-libico. Se in politica estera il Partito democratico si mostra granitico, in politica interna però continua silenziosamente a perdere pezzi. A livello nazionale i democratici possono contare già la fuoriuscita di dieci deputati e dieci senatori che dal Pd si sono diretti verso lidi centristi, terzopolisti o «responsansabili». Alla Camera tra le uscite più eclatanti si ricordano quelle della teodem Paola Binetti (ora Udc) e dell'imprenditore veneto Massimo Calearo (ora tra i responsabili), al Senato quelle del questore Achille Serra e la cattolica Dorina Bianchi, entrambi nell'Udc. Dal canto suo, invece, Francesco Rutelli, a furia di rastrellare tra le file del suo ex partito, riuscirà a breve a formare il gruppo dell'Alleanza per l'Italia in Senato. Tutto questo è un segno tangibile di un'insofferenza dei cattolici e dei moderati nei confronti di un partito che non ha una linea chiara sulle questioni etiche e che troppo spesso è succube della popolarità del leader di Sinistra, Ecologia e Libertà. Ora la fuga si allarga anche in periferia. A lasciare il partito sono Salvatore Perugini, sindaco di Cosenza, Andrea Causin, consigliere regionale e presidente delle Acli venete e l'eurodeputato Giancarlo Susta. Sul piede di guerra si pongono i veltroniani, Beppe Fioroni e gli ex popolari del Pd che continuano invano, ormai da mesi, a chiedere un cambio di rotta, preoccupati dalla deriva sempre più fintamente socialdemocratica e dalemiana che sta assumendo il partito. Partito che in nessuna delle quattro grandi città, Milano, Torino, Napoli e Bologna, presenta un candidato moderato proveniente dall'ex Margherita. Sempre intema di abbandoni è rilevante la querelle nata all'interno dell'Italia dei Valori tra lo storico Nicola Tranfaglia, responsabile del dipartimento cultura del partito, e il leader Antonio Di Pietro, che ha portato l'ex Pm ad esautorare il primo giustificando il suo atto di epurazione sostenendo che Tranfaglia lo avrebbe minacciato per farsi rinnovare il contratto. Un discorso a parte merita il Terzo Polo, dove anche Futuro e Libertà per l'Italia è alle prese con divisioni e abbandoni. Dopo le varie fuoriuscite del 14 dicembre che hanno dato vita al gruppo di Iniziativa Responsabile, dopo l'addio di Alessandro Campi da direttore scientifico di FareFuturo e dopo l'addio di Luca Barbareschi, è arrivata la rottura con Adolfo Urso, segretario generale della fondazione finiana. Urso, leader delle colombe del partito, ha dapprima chiuso ffwebmagazine, il giornale online diretto da Filippo Rossi (che ora ha fondato il futurista), e ha poi dato vita all'associazione FareItalia. |